
* by CARMELO DI MAURO on 16 FEBBRAIO, 2013 ·
In questi giorni hanno dato le pagelle del primo quadrimestre a tutti gli scolari. Nella classe di prima media, dove lavoro, ho assistito alla procedura. Il preside è entrato, ha fatto un breve discorso e poi ha chiamato uno per volta, alfabeticamente. Mentre si avvicinava l’alunno, il preside commentava in due modi: una breve frase e soppesando la pagella. Questo gesto è stato psicologicamente più espressivo delle parole stesse.
Naturalmente per me è stato più interessante osservare i ragazzi con voti più bassi, cioè sotto il sei. Alcuni erano piuttosto rassegnati, quasi contenti di aver ricevuto conferme, altri mostravano un evidente scoramento. Una bambina ha ricevuto una pagella con pochissime sufficienze e ho avvertito come si sentisse sperduta.
Quando il preside è andato via, la professoressa ha fatto un giro tra i banchi, rincuorando, apprezzando, storcendo il naso. Poi, ha fatto un discorso sulla cultura. Innalzare i voti è importante, ma prima ancora viene il piacere di essere delle persone ricche di cultura, “prima ancora dei soldi”.
Nel frattempo, il mio alunno autistico giocherellava con la pagella personalizzata. Era interessato al suono dei due fogli mentre li schiacciava. E pensavo alla cultura, ai tanti anni che ho dedicato ai libri, alle scienze naturali e umane, a tutti gli scolari che mi hanno preceduto e a tutti questi ragazzi che seguono. Ho pensato al fatto che per sei ore al giorno sono rinchiusi dentro 4 mura e studiano, scrivono, spiegano, cercano di riprodurre questa cultura e so che fuori queste 4 mura non serve a molto, la cultura.
La cultura è fondamentale per il nostro bene cognitivo, per la nostra autocoscienza civile, per i nostri genitori. Fin quando scopri, alla fine degli studi e fuori quelle 4 mura, che per lavorare serve saper fare qualcosa di molto diverso. La conoscenza che possiedi è più adatta al tuo cervello che alle esigenze di altri cervelli, di quelli che contano nel mondo del lavoro e distribuiscono stipendi.
Ho pensato alla cultura come ad un fatto immateriale, ad un fenomeno psicologico che da un certo punto di vista ha il potere di un disturbo mentale. Serve a saper leggere, scrivere, far di conto, pensare, esercitandosi e prendendo voti. Però dura poco, qualche ora, la lezione di storia o di matematica il giorno dopo è quasi del tutto svanita. Argomenti bellissimi, sottolineati e ripetuti ad alta voce nella luce della lampada per tante sere invernali e infine sperduti chissà in quale parte del cervello.
I voti della pagella mi sono sembrati come i codici dei criteri diagnostici utilizzati dal DSM (il più diffuso manuale diagnostico dei disturbi mentali). Punteggi bassi in storia o italiano equivalevano a diagnosi promettenti, ad alte prospettive di lavoro e a compromessi funzionali con il proprio cervello. Verrà il giorno in cui impareranno a saper parlare nel modo più appropriato alla situazione, a saper costruire un rapporto di amore che durerà per tutta la vita, in cui accudiranno i genitori con dignità, lavoreranno con competenza e leggeranno le fiabe della loro infanzia al proprio figlio.
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