Archivio per la categoria ‘Inclusione ed integrazione’


PAI Piano annuale d'inclusività

Entro la fine di Giugno occorre redigere il Piano Annuale per l’inclusività (PAI) estensivamente per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali. Per quest’anno il MIUR ha predisposto un modello esemplificativo di PAI scaricabile cliccando il link in basso

Scarica qui il modello di PAI elaborato dal MIUR

Fonte: Orizzontescuola


Presentiamo il lavoro del’insegnante Nicola Molteni presentato ad Appiano Gentile nello scorso aprile 2013

 

BES - Didattica Inclusiva

 

BES didattica inclusiva

 

 

 


didattica inclusiva
Indice
  • Inclusione
  • Motivazioni pedagogiche
  • Motivazioni normative
  • Risorse
  • /strumenti/metodologie
  • didattiche
  • Software
  • Sitografia


Imparare Comunicare Agire in una Rete Educativa
GLI ALUNNI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E IL MODELLO ANTROPOLOGICO ICF DELL’OMS

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali vivono una situazione particolare, che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo: questa situazione negativa può essere a livello organico, biologico, oppure familiare, sociale, ambientale, contestuale o in combinazioni di queste. Un alunno con Bisogni Educativi Speciali può avere una lesione cerebrale grave, o la sindrome di Down, o una lieve disfunzionalità cerebrale e percettiva, o gravi conflitti familiari, o background sociale e culturale diverso o deprivato, reazioni emotive e/o comportamentali disturbate, ecc.

Queste (e altre) situazioni causano direttamente o indirettamente — grazie all’opera mediatrice di altri fattori (personali e/o contestuali: si veda poi la concettualizzazione del funzionamento umano dell’ICF) —, difficoltà, ostacoli o rallentamenti nei processi di apprendimento che dovrebbero svolgersi nei vari contesti. Queste difficoltà possono essere globali e pervasive (si pensi all’autismo) oppure più specifiche (ad esempio nella dislessia), settoriali (disturbi del linguaggio, disturbi psicologici d’ansia, ad esempio); gravi o leggere, permanenti o (speriamo) transitorie.

In questi casi i normali bisogni educativi che tutti gli alunni hanno (bisogno di sviluppare competenze, bisogno di appartenenza, di identità, di valorizzazione, di accettazione, solo per citarne alcuni) si «arricchiscono» di qualcosa di particolare, di «speciale» nel loro funzionamento. Il loro bisogno normale di sviluppare competenze di autonomia, ad esempio, è complicato dal fatto che possono esserci deficit motori, cognitivi, oppure difficoltà familiari nel vivere positivamente l’autonomia e la crescita, e così via.

Definire, cercare e riconoscere i Bisogni Educativi Speciali non significa «fabbricare» alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo, anche nuovo e sottile. Significa invece rendersi bene conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato. Non farlo, quello sì che sarebbe discriminante, sarebbe incuria. Come è discriminante doversi per forza sottoporre a una diagnosi medica per ottenere qualche risorsa in più. È discriminante e penoso, mortificante per le famiglie e per gli alunni stessi, quando se ne rendono conto. Invece non è un’etichetta discriminante «Bisogni Educativi Speciali» perché è amplissima, non fa riferimento solo ad alcuni tipi di cause e non è stabile nel tempo: la si può togliere, infatti, in alcuni casi. Si potrebbe dire che ogni bambino può incontrare nella sua vita una situazione che gli crea Bisogni Educativi Speciali; dunque è una condizione che ci riguarda tutti e a cui siamo tenuti, deontologicamente e politicamente, a rispondere in modo adeguato e individualizzato.

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali hanno infatti necessità di interventi tagliati accuratamente su misura della loro situazione di difficoltà e dei fattori che la originano e/o mantengono. Questi interventi possono essere ovviamente i più vari nelle modalità (molto tecnici o molto informali), nelle professionalità coinvolte, nella durata, nel grado di «mimetizzazione» all’interno delle normali attività scolastiche (in questo caso si parla di «speciale normalità»: una normalità educativa-didattica resa più ricca, più efficace attraverso le misure prese per rispondere ai Bisogni Educativi Speciali).

In alcuni casi questa individualizzazione prenderà la forma di un formale Piano educativo individualizzato-Progetto di vita, in altri sarà, ad esempio, una «semplice» e informale serie di delicatezze e attenzioni psicologiche rispetto a una situazione familiare difficile, in altri ancora potrà essere uno specifico intervento psicoeducativo nel caso di comportamenti problema, e così via.

I Bisogni Educativi Speciali sono dunque molti e diversi: una scuola davvero inclusiva dovrebbe essere in grado di leggerli tutti (individuando così il reale «fabbisogno» di risorse aggiuntive) e su questa base generare la dotazione di risorse adeguata a dare le risposte necessarie. C’è però bisogno di una cornice forte che orienti questa lettura, una cornice concettuale e antropologica unica per cogliere le varie dimensioni dei bisogni «forti» e di quelli «deboli», che rischiano di non essere riconosciuti con piena dignità.

L’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2002) è il modello concettuale che serve a questa lettura e che proponiamo qui a questo scopo e per la nuova Diagnosi funzionale educativa. È appropriato proporre la struttura concettuale dell’ICF, perché questo approccio parla di salute e di funzionamento globale, non di disabilità o patologie. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, la situazione di una persona va letta e compresa profondamente in modo olistico e complesso, da diverse prospettive, e in modo interconnesso e reciprocamente causale.

Crediamo che questo modello sia utile per una lettura dei Bisogni Educativi Speciali in un’ottica di salute globale, per una comprensione qualitativa degli «ambiti» di difficoltà di un alunno e una definizione dei corrispondenti «ambiti» di risorse.

La situazione di salute di una persona è la risultante globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati nello schema seguente. Condizioni fisiche e fattori contestuali agli estremi del modello: la mia dotazione biologica da un lato e dall’altro l’ambiente in cui cresco, dove accanto a fattori esterni (relazioni, culture, ambienti, ecc.) incontro fattori contestuali personali, le dimensioni psicologiche che fanno da «sfondo interno» alle mie azioni (autostima, identità, motivazioni, ecc.). Nella grande dialettica tra queste due enormi classi di forze (biologiche e contestuali) si trova il mio corpo, come concretamente è fatto (struttura) e come realmente funziona (funzioni). Ma il mio corpo agisce con delle reali capacità e performance (attività personali) e si integra socialmente (partecipazione sociale). Quando tutto questo va bene e agisce in sinergia, sarò sano e funzionerò bene, altrimenti sarò malato, o disabile, o con Bisogni Educativi Sociali, oppure emarginato, ecc.

L’alunno che viene conosciuto e compreso, nella complessità dei suoi bisogni, attraverso il modello ICF, può evidenziare difficoltà specifiche in vari ambiti:

  • Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni cromosomiche particolari, lesioni, ecc;
  • Strutture corporee: mancanza di un arto, di una parte della corteccia cerebrale, ecc.;
  • Funzioni corporee: deficit visivi, deficit motori, deficit attentivi, di memoria, ecc.;
  • Attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione e di linguaggio, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di autonomia personale e sociale, di cura del proprio luogo di vita, ecc.;
  • Partecipazione sociale: difficoltà a rivestire in modo integrato i ruoli sociali di alunno, a partecipare alle situazione sociali più tipiche, nei vari ambienti e contesti;
  • Fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa, situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e risorse, ecc.;
  • Fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive, scarsa motivazione, ecc.

In uno o più di questi ambiti si può generare un Bisogno Educativo Speciale specifico, che poi interagirà con gli altri ambiti, producendo la situazione globale e complessa di quest’alunno. Ovviamente, il peso dei singoli ambiti varierà da alunno ad alunno, anche all’interno di una stessa condizione biologica originaria (non esistono infatti due alunni con Sindrome di Down uguali) o contestuale ambientale (non esistono infatti due alunni figli di immigrati senegalesi uguali, ad esempio).

Il modello ICF (sia che venga usato per una diagnosi funzionale ufficiale — si veda il nuovo modello ICF di diagnosi funzionale — sia che ci serva per una comprensione più informale della situazione) ci aiuta a leggere le diverse situazioni di difficoltà degli alunni: alcune di esse saranno caratterizzate da problemi biologici, corporei e di capacità; altre da problemi contestuali ambientali, di capacità e di partecipazione; altre primariamente da fattori contestuali ambientali; altre principalmente da difficoltà di partecipazione sociale (esistono ancora situazioni di discriminazione, non dimentichiamolo!) a causa di fattori contestuali ambientali ostili, e così via.

Fonte – http://archivio.pubblica.istruzione.it/dgstudente/icare/bisogni_educativi_speciali.shtml

di Flavio Fogarolo*

«Secondo il dizionario – scrive Flavio Fogarolo – il termine “bizantinismo” è l’atteggiamento di chi eccede in sottigliezze o complica inutilmente i problemi. Proprio quello di cui la scuola ha oggi meno bisogno. E invece è proprio quello che si fa, ad esempio con “bizantinismi accademici” come la distinzione tra personalizzare e individualizzare, che non ha alcuna ricaduta operativa e non serve a niente nella scuola reale»

Alunno con disabilità e professore

Che differenza c’è tra personalizzazione e individualizzazione? Se qualcuno me lo chiede, rispondo di solito con un’altra domanda: perché lo vuoi sapere? Se è per un esame o per un concorso, solidarizzo, per forza, e in qualche modo cerco di dare una risposta. Necessariamente nozionistica, purtroppo. Ma se il dubbio viene da insegnanti semplicemente curiosi di sapere, dico: «Lascia perdere, pensa a cose più serie e non complicarti la vita per nulla».

Secondo me, infatti, la distinzione tra personalizzare e individualizzare è un puro bizantinismo accademico che non ha alcuna ricaduta operativa e non serve a niente nella  scuola reale. Capisco che il linguaggio tecnico debba essere più preciso di quello comune, ma la specificità dev’essere razionale e avere una funzione. Il giurista distingue tra frode edolo, mentre l’uomo della strada dirà semplicemente che c’è stato un imbroglio, ma le distinzioni legali hanno una logica e delle conseguenze ben precise e a nessuno verrebbe in mente di classificare minuziosamente le varie tipologie di reato, se poi le conseguenze – penali o amministrative – fossero in ogni caso sempre le stesse.

Parlando di didattica individualizzata e personalizzata, da un po’ di anni a questa parte – non molti in verità – i “sacri testi” partono dall’assioma che i due termini non siano sinonimi, ma all’atto pratico, quando è il momento di dire cosa si fa in un caso e cosa nell’altro, ledistinzioni scompaiono e tutti parlano di “didattica individualizzatatrattinopersonalizzata”.
Si vedano ad esempio le Linee Guida per i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento, N.d.R.) del 2011 e i modelli di PDP (Piani Didattici Personalizzati) proposti dal Ministero. È come quando si fa fare ai cittadini la raccolta differenziata, ma poi i rifiuti finiscono tutti nella stessa discarica! E d’altra parte, sarebbe ben duro fare distinzioni categoriche, considerando la nebulosità e le evidenti, e pesanti, contraddizioni tra le due pseudodefinizioni, nonché le varianti e difformità.
Mi attengo quindi al “minimo sindacale” e riprendo ciò che dicono le citate Linee Guida: «L’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per tutti i componenti del gruppo-classe ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteristiche individuali dei discenti […]. L’azione formativa personalizzata […] può  porsi  obiettivi  diversi per  ciascun discente».
Ma se didattica individualizzata significa differenziare la metodologia didattica e non gli obiettivi, perché per gli alunni con disabilità, con i quali si adatta praticamente tutto, si predispone un PEI (Piano Educativo Individualizzato)? Viceversa, è proprio per gli alunni con DSA che si dovrebbe intervenire sull’individualizzazione, considerando che – sempre secondo quelle Linee Guida -, per loro la progettazione educativa deve intervenire ma «non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dell’alunno o dello studente in questione». Se è così, quindi, perché il documento di programmazione dei DSA si chiama PDP, Piano Didattico Personalizzato, e non Individualizzato come sarebbe logico in base alla definizione?
Tra parentesi, consiglio sempre la “regola dei contrari” a quei “poveretti” di prima, quelli cioè che devono preparare un concorso o un esame e sono obbligati a distinguere tra due termini del tutto arbitrari e scollegati rispetto al linguaggio comune e che quindi tendono a confonderli: hai presente il PEI? Si chiama individualizzato, ma si fa personalizzazione. E il PDP si chiama personalizzato, ma riguarda l’individualizzazione. Basta capovolgere tutto, facile. O no?

In sostanza, la distinzione avrebbe senso se si dicesse, ad esempio, che con DSA e BES (Bisogni Educativi Speciali) si può fare solo individualizzazione, come sarebbe ovvio, visto che non si possono ridurre gli obiettivi, mentre con gli alunni con disabilità si può intervenire anche sulla personalizzazione. Ma la Legge 170/10 sui DSA dice chiaramente (articolo 5, comma 2 a) che questi alunni hanno diritto a una didattica «individualizzata e personalizzata» e quindi la distinzione non si può fare.
Chiariamo meglio: di sicuro è utile riflettere su come, caso per caso, vada differenziato l’insegnamento relativamente a metodi, tempi, obiettivi, con riferimento in particolare ai livelli culturali minimi di competenza e di cittadinanza che vanno garantiti a tutti. Contesto invece la pretesa di calare dall’alto una distinzione lessicale senza nessun riferimento all’uso reale, anche da parte degli addetti ai lavori (vedi PEI e PDP), e soprattutto senza nessuna ricaduta operativa.
Secondo il dizionario, tra l’altro, individualizzare e personalizzare, checché se ne dica, sono sinonimi e anche nella scuola erano considerati così fino a poco tempo fa. Ricordo ad esempio che negli Anni Novanta, prima dell’autonomia, le scuole dovevano stendere il PEI, inteso come Piano Educativo di Istituto (precursore del POF-Piano dell’Offerta Formativa), e in molte zone d’Italia, per evitare confusione di sigle, si è cambiato il nome dell’altro PEI, quello cioè di programmazione della disabilità, trasformandolo in PEP, Piano Educativo Personalizzato. Perché ovviamente, allora, i due termini erano tranquillamente considerati sinonimi.
E a proposito di dizionario: bizantinismo, ovvero atteggiamento di chi eccede in sottigliezze o complica inutilmente i problemi. Proprio quello di cui la scuola ha oggi meno bisogno.

Fonte – http://www.superando.it/2014/02/03/personalizzare-individualizzare-e-altri-bizantinismi/


il disturbo della comprensione del testo

La capacità di lettura non riguarda solo la decifrazione di lettere e parole; si tratta infatti di un processo complesso, che implica la comprensione del testo.
È abbastanza frequente che i bambini, troppo impegnati a decodificare le parole, facciano fatica a comprenderne il significato ed è importante sollecitare la loro attenzione e la loro partecipazione attiva durante la lettura.
Il disturbo di comprensione può non emergere nei primi anni della scuola primaria, poiché i testi sono prevalentemente di tipo narrativo, la loro lunghezza non è eccessiva e il brano è corredato da immagini facilitanti; invece, quando i contenuti acquistano una maggiore complessità, questa difficoltà può insorgere anche se la lettura si svolge con scorrevolezza.
Questo disturbo, quindi, non ha niente a che vedere con la cattiva lettura, ma riguarda esclusivamente la mancata comprensione del significato del testo. È però importante riuscire a distinguere la difficoltà di comprensione dal disturbo di comprensione.
La difficoltà di comprensione è causata da carente preparazione di base, da un ambiente familiare poco stimolante, da diversa appartenenza linguistica, da scarso allenamento alla lettura. Il Disturbo della Comprensione del testo non ha nulla a che vedere con tutto questo.
Ecco le principali caratteristiche di questo disturbo:
– Le prestazioni ottenute dalla somministrazione di prove specifiche relative alla comprensione del testo sono al di sotto della norma.
– Il livello intellettivo del soggetto è invece nella norma o, comunque, più elevato rispetto all’esito della prova di comprensione del testo.
– I risultati non sono da attribuire a situazioni di svantaggio socioculturale nè a carenza di preparazione di base o allo scarso allenamento, per cui la difficoltà osservata risulta, da questo punto di vista, inspiegabile.
– Il soggetto, inoltre, non presenta deficit di tipo sensoriale (visivo o uditivo), cui possa essere attribuibile il deficit di comprensione.
Questo disturbo è attualmente molto studiato dagli esperti, i quali ritengono che la carenza nelle prestazioni può essere influenzata da difficoltà nella memoria a breve e a lungo termine, ma anche dalla quantità di conoscenze precedenti che un lettore possiede. Un buon lettore, infatti, ha facilità nel compiere inferenze. Le inferenze sono deduzioni, ragionamenti, che consentono di comprendere il significato di una parola in relazione al contesto della frase e del periodo in cui è inserita e di intuire informazioni implicite nel testo.
Per comprendere un testo dobbiamo essere capaci di ricavare le informazioni più importanti e di porre quindi in secondo piano quelle più marginali; è grazie a questa capacità che la memoria non sarà sovraccaricata e potrà adeguatamente eseguire l’incarico che le spetta: mantenere ed elaborare i contenuti del testo.
I cattivi lettori possono avere difficoltà a eliminare le informazioni irrilevanti e non riescono quindi
conservare in memoria le informazioni importanti.
Le conseguenze in ambito scolastico
Le prestazioni di questi bambini risultano chiaramente deficitarie; la comprensione del testo è infatti irrinunciabile nell’apprendimento scolastico.
Un bambino con difficoltà di comprensione del testo incontra quindi notevoli ostacoli; il suo percorso scolastico è più lento, i suoi risultati più scarsi. Le sue capacità intellettive sono invece superiori al suo livello di comprensione del testo e questo fa sì che ci sia buona consapevolezza della propria difficoltà, con conseguenti ripercussioni sul piano emotivo e motivazionale. Le costanti frustrazioni fanno, infatti, scaturire la convinzione della propria incapacità. Come per gli altri disturbi fin qui descritti, è indispensabile una valutazione specialistica, attraverso la somministrazione di test
standardizzati.
L’insegnante pur non procedendo con l’uso dei test, è in grado, per la propria professionalità, di individuare precocemente le situazioni a rischio. L’osservazione del bambino mentre legge, l’individuazione delle sue capacità di decodifica in relazione alla classe frequentata, i livelli di
comprensione del testo individuati attraverso la lettura di brani di graduale difficoltà, consente di comprendere qual è il suo tipo di comprensione, qual è la soglia oltre la quale inizia la difficoltà a comprendere.
Il percorso di aiuto da portare avanti nella scuola riguarda principalmente la proposta di attività relative alle abilità che riguardano il processo di comprensione:
– sviluppare la capacità di fare inferenze
– aiutare a individuare e a sottolineare le parti più importanti del testo
– potenziare le abilità metacognitive
– ampliare le conoscenze attraverso il racconto orale
– fornire strategie utili per la comprensione
È importante ricordare che, sia i genitori sia gli insegnanti, devono prestare grande attenzione non solo alla capacità del bambino di leggere speditamente un testo, ma anche a quanto egli ha compreso. Nel caso si evidenzino chiare difficoltà è preferibile comprenderne il motivo, attraverso un percorso diagnostico, che, più è precoce, più permette di mettere in atto strategie di potenziamento, per ridurre il più possibile il rischio che la difficoltà interferisca a mano a mano nello sviluppo
cognitivo.
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Modello di  Piano Didattico Personalizzato (PDP) per l’inclusione degli alunni  con Bisogni Educativi Speciali tratto dal libro 

“BES e DSA” –

La scuola di qualità per tutti” – Annapaola Capuano, Franca Storace, Luciana Ventriglia –  Casa Editrice Libri Liberi Firenze 2013

 
 
E’online e scaricabile gratuitamente registrandosi alla community del sito della Casa Editrice Libri Liberi, il modello di Piano Didattico Personalizzato per alunni con Bisogni Educativi Speciali.
“Il PDP, inteso come strumento di progettazione educativa e didattica, nasce da un’azione sinergica di forze e azioni che garantiscono agli alunni con Bisogni Educativi Speciali di imparare nel rispetto delle proprie caratteristiche. I docenti, considerando i punti di forza e i bisogni degli  alunni, elaborano  ipotesi organizzative e strategie metodologiche nell’ottica di una didattica individualizzata e personalizzata.
La redazione del PDP deve contenere e sviluppare alcuni punti essenziali che riguardano la descrizione dell’alunno e delle  sue  caratteristiche  educative  ed  apprenditive,  le attività didattiche  personalizzate  ed  individualizzate  con  particolare riferimento alle metodologie e alle strategie didattiche, gli strumenti compensativi  e le misure dispensative  adottate, le forme  e i criteri di verifica e valutazione degli apprendimenti.”
Tutte le indicazioni per una corretta gestione dello strumento e della sua compilazione sono contenute nel volume “Bes e DSA La scuola di qualità per tutti”.
Il modello è conforme con le prescrizioni di cui all’Art.5 del DM n°5669 del 12/7/2011 e al punto 3.1 delle “Linee Guida” allegate.

Per registrarsi al sito e scaricare il documento:
* Fonte – http://tuttiabordo-dislessia.blogspot.it/2013/11/modello-di-piano-didattico.html

Da un egregio lavoro della collega Antonia Carlini . Partiamo da lontano, evitiamo confusioni! Dalla Costituzione del 1948, alla dichiarazione dell’ Unesco 1997, all’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento) 2001.

BES Scuola


Il progetto Storie Sociali® nasce su richiesta di insegnanti, genitori e terapisti con l’obiettivo di costituire un patrimonio di immagini per la comunicazione visiva a beneficio delle persone con autismo. Considerata la carenza di risorse multimediali in lingua italiana il progetto Storie Sociali® intende diventare un punto di riferimento concreto sotto il profilo informativo, esperienziale e di orientamento.

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 Valutare la qualità dell’integrazione

La necessità di una valutazione della qualità dell’integrazione nella scuola italiana è stata
riconosciuta da molti e a diversi livelli: la risposta che il nostro paese, con modalità originali e
coraggiose, ha saputo dare al dettato costituzionale è stata davvero efficace ed efficiente? In cosa
può essere migliorata, dopo più di quarant’anni dal riconoscimento del diritto all’istruzione nella
scuola di tutti per le persone con disabilità?

Nell’attesa di un sistema di valutazione nazionale che indaghi sulla questione a livello strutturale, il
Gruppo Regionale di Ricerca dell’USR Lombardia, composto da docenti, dirigenti e ricercatori, ha
elaborato QUADIS, una proposta per l’autoanalisi/autovalutazione d’istituto sulla qualità
dell’integrazione delle alunne e degli alunni con disabilità.

Fonte – http://www.quadis.it/