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Proponiamo una serie di risorse di rete per l’approfondimento di un tema difficile e misconosciuto.

Secondo il DSM IV la Disprassia viene generalmente inclusa nella definizione di DCD (Developmental Coordination Desorder), in italiano Disturbi della Coordinazione Motoria, ovvero Disturbo nel quale le prestazioni in compiti di coordinazione motoria, fini o grosso motori, sono significativamente al di sotto del livello atteso rispetto all’età e allo sviluppo intellettivo.

E’ infatti riconosciuta come un disturbo congenito o acquisito precocemente che, pur non alterando nella sua globalità lo sviluppo motorio, comporta difficoltà nella gestione dei movimenti comunemente utilizzati nelle attività quotidiane (ad es. vestirsi, svestirsi, allacciarsi le scarpe) e nel compiere gesti espressivi che servono a comunicare emozioni, stati d’animo; inoltre è deficitaria la capacità di compiere abilità manuali e abilità gestuali a contenuto prevalentemente simbolico. (fonte)

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Clicca sull’immagine per accedere all’articolo di Patrizio E. Tressoldi e Claudio Vio dal titolo “È proprio così difficile
distinguere difficoltà da disturbo di apprendimento?”Difficoltà e disturbo d'apprendimento

 

 

disturbo d'apprendimento


Daniela Lucangeli (Ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l’Università di Padova) parla di sviluppo delle competenze numeriche e di discalculia evolutiva.

Dal convegno In classe ho un bambino che… Firenze, 8-9 febbraio 2013.



Presentiamo un contributo del prof. Imperiale sul tema della matematica e delle sue difficoltà in ambito scolastico.Discalculia e matematica


Pubblichiamo il contributo dell’istituto professionale Filangieri di Cava dei Tirreni

Bisogni educativi speciali (Bes), indicazioni operative

Il MIUR pubblica la C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 contenente indicazioni operative concernenti la direttiva ministeriale 27 dicembre 2012 recante “Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”

Il 27 dicembre scorso è stata firmata dall’On.le Ministro l’unita Direttiva recante Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, che delinea e precisa la strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà.

La circolare in questione dà indicazioni operative su alcune questioni che riguardano i DSA

Scarica la nota

Le principali disposizioni previste nella circolare 8.

  • E’ sottolineata la necessità di redigere il Piano Didattico Personalizzato (PDP) che abbia lo scopo di definire, monitorare e documentare – secondo un’elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata – le strategie di intervento più idonee.
  • L’attivazione di tale percorso individualizzato e personalizzato è deliberata dal Consiglio di Classe (dal “team docenti” nella scuola primaria). E’ previsto anche il coinvolgimento della famiglia, attraverso la sottoscrizione del PDP.
  • Per gli alunni che hanno difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana potranno essere utilizzate le due ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado.
  • Eventuali disposizioni in merito allo svolgimento degli esami di Stato o delle rilevazioni annuali saranno fornite successivamente.
  • Sono ribaditi i compiti del Gruppo di lavoro d’istituto (GLHI) che assume la denominazione di Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI) con l’estensione dei propri interventi anche agli alunni che manifestano Bisogni Educativi Speciali (BES).
  • Si suggerisce che il GLI si riunisca con una cadenza almeno mensile in orario di servizio oppure con orari aggiuntivi o funzionali, facendo rientrare la partecipazione nei compensi già pattuiti per i docenti in sede di contrattazione integrativa di istituto.
  • Ruolo strategico assumono i nuovi Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI) previsti in ogni territorio e per i quali la Direttiva 27.12.2012 ha fornito i propri dettagliati compiti.
  • Nell’eventualità che, per ragioni di “complessità territoriale”, non sia possibile istituire tali organismi, il GLI dovrà avere come riferimento i Centri Territoriali di Supporto (CTS), ai quali la Direttiva affida il ruolo fondamentale di interfaccia fra l’Amministrazione e le scuole (e tra le scuole stesse), nonché di rete di supporto al processo di integrazione, allo sviluppo professionale dei docenti e alla diffusione delle migliori pratiche.

Della direttiva del 27 dicembre scorso avevamo già dato notizia, sottolineandone la portata innovativa, perché, per la prima volta è stata evidenziata la necessità di elaborare anche per alunni e studenti con Bisogni educativi speciali (BES) un percorso individualizzato, che si realizza attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato, individuale oppure riferito a tutti i bambini della classe con BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti e abbia la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate.

La Direttiva, in sostanza, estende a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi enunciati dalla Legge 53/2003.

Fermo restando l’obbligo di presentazione delle certificazioni per l’esercizio dei diritti conseguenti alle situazioni di disabilità e di DSA, la C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 sottolinea come sia doveroso, da parte dei Consigli di classe o dei teams dei docenti nelle scuole primarie, indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.

Lo strumento privilegiato resta il percorso individualizzato e personalizzato, redatto in un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti.

Il Piano Didattico Personalizzato diventa così non più solo la mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA, ma lo strumento in cui si potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico-educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita (di cui moltissimi alunni con BES, privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o dispense, a carattere squisitamente didattico-strumentale.

A titolo esemplificativo, sul sito del MIUR saranno pubblicati alcuni modelli di PDP

L’alunno che viene valutato secondo il modello ICF può evidenziare difficoltà specifiche in 7 ambiti principali.

La situazione globale di una persona, del suo stato di salute e di funzionamento nei suoi contesti reali di vita, va descritta mettendo in relazione informazioni su:

Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni cromosomiche particolari, lesioni, ecc.

  1. Strutture corporee: mancanza di un arto, di una parte della corteccia cerebrale, ecc.
  2. Funzioni corporee: deficit visivi, deficit motori, deficit attentivi, di memoria, ecc.
  3. Attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di autonomia, di cura del proprio luogo di vita, ecc.
  4. Partecipazione sociale: difficoltà a rivestire i ruoli sociali di alunno, a partecipare alle situazione sociali più tipiche, nei vari ambienti e contesti.
  5. Fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa, situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e risorse, ecc.
  6. Fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive, scarsa motivazione, comportamenti problema, ecc.

In uno o più di questi ambiti si può generare un Bisogno Educativo Speciale specifico, che poi interagirà con gli altri ambiti, producendo la situazione globale e complessa di quest’alunno. Ovviamente, il peso dei singoli ambiti varierà da alunno ad alunno, anche all’interno di una stessa condizione biologica.

Dovrà dunque essere una riunione specifica del Consiglio di classe o del gruppo docenti a esaminare la situazione di funzionamento educativo-apprenditivo dei vari alunni e a identificare quelli che hanno qualche bisogno educativo speciale.

Categorie di risorse per una didattica inclusiva

 Di seguito verranno presentate 14 categorie generali di risorse che il Consiglio di classe o il team docenti può decidere di attivare per organizzare una didattica realmente inclusiva.

1. Organizzazione scolastica generale

Tempi e routine delle varie attività scolastiche, orari degli alunni, orari degli insegnanti (compresenze, straordinari), formazione delle classi, continuità, ruolo dei collaboratori scolastici, servizi e altre attività offerte dalla scuola (mensa, doposcuola, gruppo sportivo, sportelli, biblioteca, ecc.).

2. Spazi e architettura

Struttura dell’edificio scolastico, accessibilità sia interna che esterna, grandezza delle aule, articolazione degli spazi interni ed esterni, attrezzatura degli spazi, arredamento, ecc.

 3. Sensibilizzazione generale

Presenza di una cultura dell’integrazione e dell’inclusione scolastica, sensibilizzazione alla cultura della diversità, orientamento progettuale nell’ottica di un «Progetto di vita».

4. Alleanze extrascolastiche

Raccordo con figure coinvolte nella rete educativa, famiglia, amici, vicini di casa e altre risorse informali della comunità (gruppi giovanili, associazioni, gruppi sportivi, ecc.).

5. Formazione e aggiornamento

Supervisione tecnica anche da parte di esperti, possibilità di consultare materiali bibliografici e informatici, software, banche dati anche in Internet.

6. Documentazione

Scambio di informazioni ed esperienze, possibilità di confronto con altre realtà scolastiche, documentazione delle buone prassi di integrazione.

7. Didattica comune

Scelte metodologiche, nella didattica della classe, maggiormente inclusive (gruppi cooperativi, tutoring, didattiche plurali sugli stili cognitivi di apprendimento, didattica per problemi reali, per mappe concettuali, ecc.); vari tipi di adattamento (riduzione, semplificazione, arricchimento, ecc.); tempi di apprendimento diversi, ecc.

8. Percorsi educativi e relazionali comuni

Laboratori creativi, espressivi, di educazione socioaffettiva, alle life skills, alle autonomie, ecc.; con i vari tipi di adattamento a seconda delle singole e peculiari esigenze.

9. Didattica individuale

In aggiunta alle voci della categoria precedente e non in alternativa, attività in rapporto 1:1 (strategie, materiali, ecc.) nell’ottica dell’individualizzazione e personalizzazione dell’offerta didattica

10. Percorsi educativi e relazionali individuali

Attività in rapporto 1:1 personalizzate (training di autonomia come ad es. un percorso di insegnamento-apprendimento all’uso dei mezzi di trasporto pubblico, interventi psicoeducativi sui comportamenti problema, ecc.).

11. Ausili, tecnologie e materiali speciali

Uso di materiali e ausili, anche tecnologici, volti a facilitare le possibilità di autonomia e apprendimento dell’alunno, migliorando la sua vita quotidiana.

12. Interventi di assistenza e di aiuto personale

Aiuti di carattere assistenziale e di sostegno fisico per permettere all’alunno una personale e attiva partecipazione alla vita e alle attività quotidiane, anche con personale specifico.

13. Interventi riabilitativi

Interventi specialistici sanitari come ad esempio logopedia, terapia occupazionale, fisioterapia, psicomotricità, ecc.

14. Interventi sanitari e terapeutici

Interventi di carattere medico/sanitario, cure e terapie specifiche, interventi riabilitativi, consulenze specialistiche, ecc.

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 SCHEDA DI RILEVAZIONE DEI

BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI(BES)

Scuola…………………….di ………………………………classe/sezione

Dati della classe…..      :  n° totale alunni            di cui    n° DSA……….

                                                                                                 n°con disabilità………

                                                                               n° con BES…….

n° con cittadinanza non italiana….

.Descrizione dei casi di bisogno educativo speciale:

Alunno/a Tipi di BES Modalità di intervento
     
     
     
     
     
     
     

Legenda BES

  1. Carenze affettive-relazionali     6. difficoltà di apprendimento
  2. disagio economico                    7.disturbo specifico di apprendimento
  3. disagio sociale                              DSA con diagnosi specialistica
  4.  divario culturale                         8. disturbo da deficit di attenzione e
  5. divario linguistico                            iperattività

altro…………..(specificare)

Legenda modalità di intervento

a)   a classe intera                            e) attività di recupero

b)   a piccolo gruppo                         f) tutoring

c)   individualmente                           g) percorso personalizzato

d)   attività di potenziamento             altro………..(specificare)

Data…………….                                  Firma docente coordinatore………..

Costruire una programmazione individualizzata

  • Individuazione di una prima mappa generale dei bisogni:griglia
  • secondo il modello concettuale ICF

Definizione del fabbisogno di risorse per  l’individualizzazione

Caratteristiche dell’alunno         Nome………………….

Risorse per l’individualizzazione                                        1,2,3,4,5,6,7,8,9,1,0,11,12,13,14

  • Condizioni fisiche(malattie, situazioni cromosomiche)
  • Strutture corporee (mancanza di un arto…)
  • Funzioni corporee (deficit motori percettivi, visivi, di memoria)
  • Attività personali (capacità di apprendimento, di comunicazione…)
  • Partecipazione sociale (difficoltà ad assumere un ruolo rispetto ai vari contesti di partecipazione)
  • Fattori contestuali ambientali (famiglia problematica,scarsità di risorse)
  • Fattori contestuali personali (scarsa motivazione, autostima, reazioni emozionali eccessive)

 legenda

 Legenda:

  • 0= nessun problema
  • 1= lieve bisogno di individualizzazione
  • 2= medio bisogno di individualizzazione
  • 3= notevole bisogno di individualizzazione
  • 4= forte bisogno di individualizzazione

Inauguriamo lo spazio dedicato ai Bisogni Educativi Speciali (B.E.S.) pubblicando un interessante articolo del gruppo LEDHA Scuola.

Scuola: condividere i cambiamenti con chi li deve attuare

*a cura del Gruppo LEDHA Scuola

Sta sostanzialmente in questo la critica principale rivolta dal Gruppo LEDHA Scuola alla recente Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, sui Bisogni Educativi Speciali (BES) e alla successiva Circolare 8/13, che ne ha approfondito vari aspetti. Il rischio, quindi, è che tali norme difficilmente possano essere applicate, considerando anche la carenza strutturale di risorse nella scuola

Bimbo alla lavagan con aria corrucciata

La Circolare Ministeriale 8/13, esplicativa della Direttiva Ministeriale sui BES (Bisogni Educativi Speciali) del 27 dicembre 2012[“Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, N.d.R.] ha il notevole pregio di aver posto all’ordine del giorno la necessità della presa in carico collegiale dei BES (ivi compresi, quindi, gli alunni con disabilità) da parte di tutti i docenti, il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento attraverso la realizzazione di un Piano Didattico Personalizzato e il diritto al successo formativo di tutti gli alunni con difficoltà. E tuttavia, essa non fuga le perplessità suscitate dalla Direttiva [esposte a suo tempo in un ampio documento, sempre elaborato dal Gruppo LEDHA Scuola, N.d.R.] e sull’attuazione pratica delle misure proposte. Vediamo perché, punto per punto.

1. Disturbi specifici non esplicitati nella Legge 170/10 (DSA – disturbi specifici di apprendimento) – Deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività – Funzionamento cognitivo limite

A quanti, come noi, avanzavano dubbi sull’estensione – senza il supporto di una diagnosi clinica certa – delle misure previste dalla Legge 170/10 (stesura del Piano Didattico Personalizzato per ogni allievo; adozione di misure dispensative e di strumenti compensativi), anche ai nuovi casi di BES descritti dettagliatamente nella prima parte della Direttiva, la Circolare 8/13 risponde affermando che «ove non sia presente certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di Classe o il team docenti motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche, ciò al fine di evitare contenzioso».

Dubbi e interrogativi

a) Nel caso dei disturbi evolutivi specifici non esplicitati nella Legge 170/10, elencati nella Direttiva al punto 1.2, ovvero dei disturbi nell’area del linguaggio o, al contrario, nelle aree non verbali, come nel caso del disturbo della coordinazione motoria, della disprassia o del disturbo non-verbale, ma anche del disturbo dello spettro autistico lieve, oltreché nel caso dei disturbi dell’attenzione e dell’iperattività (punto 1.3 della Direttiva), del funzionamento cognitivo limite o borderline (punto 1.4), è credibile che un team docente, “storicamente” non formato a formulare ipotesi differenziali in merito a diverse condizioni cliniche, sia in grado didistinguere, solo basandosi sulla rilevazione dei bisogni e con un discreto margine di certezza tra una situazione certificabile e una non?

b) Si può davvero pensare che basti il dettato ministeriale affinché gli insegnanti sostituiscano una documentazione clinica certa, con la verbalizzazione delle loro «fondate argomentazioni pedagogico-didattiche»?
c) Il ricorso alla certificazione clinica è obbligatorio solo in funzione dell’impegno economico (assunzione dell’insegnante di sostegno o adozione di onerosi strumenti compensativi) e/o della concessione di particolari dispense (vedi esonero dallo scritto della lingua straniera)?
d) È plausibile che si possa, senza una formazione obbligatoria di tutti i docenti sull’utilizzo dell’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], superare l’inveterata “logica della certificazione e delle etichettature” (come afferma ad esempio il professor Dario Ianes) e affermare la “lettura dei bisogni per tutti i BES”? Non è proprio la Direttiva nella sua prima parte a fare ampio ricorso a riferimenti clinici, in contrasto con l’ICF, di cui vorrebbe promuovere l’adozione?

A questo punto, purtroppo, è facile immaginare che si otterrà l’effetto opposto a quello della semplificazione, auspicato dalla Direttiva: le famiglie di molti alunni saranno infatti indotte a ricorrere a specialisti, affinché questi riconoscano o escludano una loro “appartenenza” a una delle categorie in cui la Direttiva suddivide i BES (DSA e altri Disturbi specifici; Alunni con disabilità; Alunni con svantaggio socio-culturale e linguistico), con un ulteriore aggraviodel lavoro delle UONPIA [Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, N.d.R.] e delle strutture private accreditate, la cui cronica mancanza di risorse è sotto gli occhi di tutti ed è causa di pesanti ritardi anche solo nella formulazione delle diagnosi cliniche e delle valutazioni funzionali necessarie, per poter accedere ai Collegi di accertamento degli alunni in situazione di disabilità.

2. Area dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale
Per i bambini in situazione di svantaggio socio-culturale e linguistico (quasi ignorati nella Direttiva e a cui la Circolare 8/13 dà giustamente maggiore rilievo), il problema è sicuramente diverso. «Tali tipologie di BES – si afferma – dovranno essere individuate sulla base di elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali) ovvero di ben fondate considerazioni pedagogiche e didattiche». Per loro, come per gli altri BES, andranno attivati percorsi individualizzati e adottati strumenti compensativi e misure dispensative «per il tempo strettamente necessario», previo monitoraggio dell’efficacia di tali interventi.
La Circolare ricorda quindi l’opportunità, sulla base dell’articolo 5 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 89/09, dell’utilizzo delle due ore di seconda lingua nella scuola secondaria di primo grado, per l’apprendimento della lingua italiana.

Dubbi e interrogativi

a) Con quali modalità operative non è però dato sapere: si organizzeranno sottogruppi disciplinari, ma con quali risorse, in assenza di compresenze?
b) E alla scuola primaria, dove manca l’opportunità di una seconda lingua?

Alunna con disabilità in aula affollata

Pienamente d’accordo, invece, siamo sull’invito della Circolare a privilegiare maggiormente le strategie educative e didattiche, attraverso percorsi personalizzati, anziché fare ricorso a misure dispensative e strumenti compensativi, anche perché i fatti ci dicono che occorrono mesi – quando va bene – per avere un personal computer, peggio ancora per avere software dedicati! Persino i genitori degli alunni con disabilità faticano a ottenerli, anche se previsti nel PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.], perché il Nomenclatore non li contempla e anche quando vi sono Leggi Regionali che ne dispongono la concessione, le pratiche sono lunghe e difficili. Senza contare il fatto che quest’anno, ad esempio, laRegione Lombardia ha concesso i contributi della propria Legge 23/99 per gli strumenti tecnologicamente avanzati – computer e software di base – solo agli alunni con DSA.

Infine, l’attivazione di interventi “on-off” creerà inevitabilmente qualche disaccordo fra i docenti del Consiglio di Classe ed è prevedibile ipotizzare scontenti fra le altre famiglieche, in presenza di situazioni borderline non certificabili o di disagio sociale non tempestivamente supportate dai servizi sociali, potrebbero contestare alla scuola che per alcuni studenti siano stati attivati progetti individualizzati e strategie varie a carattere dispensativo o compensativo e per i propri figli no.

3. Azioni a livello della singola istituzione scolastica
Anche su questo argomento, la Circolare 8/13 introduce elementi decisamente nuovi rispetto alla Direttiva del 27 dicembre 2012, innanzitutto approfondendo argomenti solo inizialmente accennati e apportando aggiunte significative, al punto che vien fatto di chiedere perché il Ministero abbia avuto fretta di deliberare, quando avrebbe potuto stendere un testo organico, che non desse luogo a confusioni interpretative e applicative, dopo avere sentito con più calma l’Osservatorio sull’Integrazione.

Nuova – e molto significativa – è ad esempio tutta la parte della Circolare sui Gruppi di Lavoro scolastici per l’inclusione dei BES. D’ora in poi, quindi, i GLHI che – sulla base dell’articolo 15 della Legge 104/92 – si devono occupare dell’inclusione degli alunni con disabilità a livello di Istituzione Scolastica, tratteranno le questioni relative a tutti i BES, con un nuovo nome: GLI, ovvero Gruppi di Lavoro per l’Inclusione.

Ci soddisfa il superamento dell’identificazione della disabilità come situazione di “confino”, non solo in senso pedagogico-didattico, ma anche in senso lato sociale, giungendo finalmente a considerarla una delle tante condizioni di vita, con pari diritti e opportunità rispetto alle altre situazioni, di “normalità” o di difficoltà.

Positivo anche che la Circolare ricordi finalmente che nei Piani dell’Offerta Formativa (POF) delle scuole non vadano scritte solo generiche enunciazioni di principio, ma siano indicati unconcreto impegno programmatico per l’inclusione, criteri e procedure di utilizzo “funzionale” delle risorse presenti nella scuola, «sulla base di un progetto di inclusione condiviso con famiglie e servizi sociosanitari» e l’impegno a partecipare ad azioni di formazione e prevenzione, concordate a livello territoriale.
È il punto sicuramente più alto della Circolare, come è altrettanto significativo che essa reintroduca il tema – ampiamente “dimenticato” – della necessità della rilevazione, delmonitoraggio e della valutazione del grado di inclusività che le scuole stesse dovranno effettuare.

Temiamo però – come Associazioni di persone con disabilità – che anche questi documenti, come già le Linee Guida per l’Integrazione Scolastica degli Alunni con Disabilità del 2009, rimangano lettera morta per i troppi “se” e i troppi “ma” che lasciano aperti, perché rischiano di essere disposizioni normative subìte e non condivise, con quanti – in primis i docenti tutti – hanno il dovere e la responsabilità di applicarle, lasciando altresì insoluti vari problemi, a partire dalle risorse insufficienti e dalle scadenze inattuabili, ad anno scolastico ormai inoltrato.

In realtà la scuola “bella”, in cui crediamo, stenta a realizzarsi e si scontra con la dura realtà dei fatti!

Ragazzi di scuola media in classe

Tra le «risorse specifiche e di coordinamento presenti nella scuola», che dovrebbero integrare i GLHI, la Circolare cita componenti che avrebbero già dovuto far parte di tali organismi a livello scolastico, vale a dire «funzioni strumentali, insegnanti per il sostegno, AEC [assistenti educativi-culturali, N.d.R.], assistenti alla comunicazione, docenti “disciplinari” con esperienza e/o con formazione specifica o con compiti di coordinamento tra le classi, genitori ed esperti istituzionali o esterni in regime di convenzionamento con la scuola».

Ci siamo sempre battute – come Associazioni di Persone con Disabilità – affinché collaborassero alla redazione del PDF e del PEI [rispettivamente Profilo Dinamico Funzionale e Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] degli alunni con disabilità, non solo gli insegnanti di sostegno, ma anche gli insegnanti curricolari, gli specialisti, i genitori e gli educatori (AEC e assistenti alla comunicazione), e tuttavia, in molte, troppe scuole, partecipano alla programmazione solo gli insegnanti di sostegno, o in qualche caso fortunato anche i genitori e qualche insegnante curricolare. Gli educatori, invece, neppure vengono considerati e nonostante la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) si sia ad esempio più volte pronunciata in tal senso, essi non hanno nemmeno potere di “firma”.

La presenza degli specialisti esterni è divenuta quindi merce rara: i rappresentanti delle Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (UONPIA) o degli Enti privati accreditati e gli esperti istituzionali (rappresentanti degli Enti Locali) rarissimamente partecipano ai GLHI e, presso le sedi scolastiche, ai GLHO [Gruppi di Lavoro Handicap Operativi, N.d.R.]. Inoltre, quasi sempre sono gli insegnanti di sostegno – e solo di rado vi si aggiunge un rappresentante degli insegnanti curricolari – a recarsi presso la sede delle UONPIA o delle strutture accreditate, per concordare la programmazione educativo-didattica per gli allievi con disabilità.

È apprezzabile, infine, che la Circolare 8/13 abbia asserito che il completamento del PEI vada effettuato nel mese di settembre, considerato che, solo in rari casi, la stesura del Piano viene conclusa entro la fine di novembre.

Dubbi e interrogativi

a) Riusciranno poi i “nuovi” GLI da subito – visto che la Direttiva è immediatamente operativa – non solo a raccogliere, monitorare e valutare i PEI degli alunni con disabilità, ma anche ad analizzare le criticità e i punti di forza degli interventi di inclusione scolastica operati nell’anno per i tutti i BES presenti nell’Istituzione Scolastica e a stendere entro il mese di giugno il Piano Annuale per l’Inclusività?
b) Buono lo stimolo a che si formino i GLI (visto che ancora in molte scuole non esistono neppure i GLHI), ma pensare che si riuniscano preferibilmente una volta al mese appare sinceramente irrealistico.
Alunni in classe

c) Perché la Circolare propone che il GLI si riunisca possibilmente con cadenza mensile solo per la parte Risorse (quindi senza rappresentanti dei genitori, degli studenti e delle associazioni)?
d) Quali sono gli «esperti istituzionali o esterni in regime di convenzionamento con la scuola»? E a quali finanziamenti si pensa, visto che in molte scuole scarseggiano le risorse anche per le più elementari esigenze? Infatti, gli «esperti esterni» a volte costano e vengono coinvolti, come fanno i CTI/CTRH [Centri Territoriali per l’Integrazione, N.d.R.], solo “se e quando” arrivano i fondi.
e) Oltre all’autovalutazione del grado di inclusività della scuola, quali strumenti di rilevazione e monitoraggio della qualità dell’inclusione “terzi” verranno impiegati per garantire obiettività di giudizio?
f) Qual è il ruolo dell’insegnante di sostegno? Alla luce della Direttiva e nella Circolare, quale scenario si prefigura? Quando un illustre pedagogista come Dario Ianes parla di «risorse abbondanti per i BES in generale» e le identifica con un investimento massiccio per pagare più di 100.000 insegnanti di sostegno solo nelle scuole statali, pensa solo alla loro compresenze in classe o al loro passaggio in prospettiva al lavoro curricolare (si veda ad esempio la “proposta TreeLLLe”*) e quindi al loro utilizzo per l’inclusione di tutti i BES?
g) Qual è la tempistica per la richiesta di risorse per il sostegno degli alunni con disabilità alla luce del disposto della Circolare 8/13? Se il Piano Annuale per l’Inclusività, redatto (si veda la Circolare) «entro il mese di giugno» e contenente anche le proposte formulate dai singoli GLHO in sede di definizione dei PEI, va successivamente «discusso e deliberato dal Collegio dei Docenti e inviato ai competenti Uffici UUSSRR [Uffici Scolastici Regionali, N.d.R.], nonché ai GLIP e ai GLIR [rispettivamente Gruppi di Lavoro per l’Inclusione Provinciali e Regionali, N.d.R.] per la richiesta dell’organico di sostegno e alle altre istituzioni territoriali come proposta di assegnazione delle risorse di competenza», le richieste relative perverranno agli uffici competenti solo intorno a luglio, ormai in fase di definizione dell’organico di fatto.

4. Azioni a livello territoriale
La Circolare, come già la Direttiva, affida un ruolo fondamentale solo ai CTS (Centri Territoriali di Supporto) per l’inclusione dei BES e nulla aggiunge sul tema delle risorse per il funzionamento dei CTI (Centri Territoriali per l’Integrazione): parla di istituirne di nuovi o di convalidarli se “funzionali”, ma sempre con un ruolo di second’ordine o ausiliario rispetto ai CTS, attribuendo – come già aveva fatto la Direttiva – un’eccessiva enfasi all’impiego delle tecnologie assistive e agli strumenti tecnologicamente avanzati per l’inclusione, mentre nell’ultimo decennio i CTI/CTRH hanno svolto in molte situazioni un ruolo vicariante nell’informazione, consulenza e formazione dei  docenti, delle famiglie e del personale non docente, per le tematiche relative all’inclusione non solo degli alunni con disabilità, ma anche dei DSA, quando le Università non organizzavano corsi di aggiornamento o lo facevano a costi inaccessibili.

Ci sembra quindi un errore non valorizzare debitamente a livello distrettuale – attribuendo anche ad essi autonomia economica e organizzativa, come ai CTS – il ruolo chiave dei CTI, che hanno messo in rete le scuole e valorizzato nel territorio i rapporti interistituzionali.

Non ci sentiamo di condividere neppure la genericità con cui viene valutata (da chi e sulla base di quali parametri?) l’«approfondita competenza» e l’esperienza nelle nuove tecnologie dell’inclusione per l’area della disabilità, la «documentata e comprovata esperienza nel campo» e la partecipazione a master e corsi di perfezionamento per l’area dei disturbi evolutivi specifici. Vi è infatti il fondato timore che la frequenza di uno o più corsi in Didattica e Psicopedagogia per i DSA venga valutata più di anni di attività formativa e progettuale e che i docenti operatori dei CTS e CTI non siano sottoposti anch’essi a una valutazione oggettiva di titoli, meriti ed esperienza.

In conclusione, date le difficoltà applicative della Direttiva, solo in parte risolte nella Circolare, si possono prefigurare due scenari di segno opposto, ma entrambi tali da inficiare o anche solo attenuare le innovazioni positive contenute in questi Documenti Ministeriali: molte Istituzioni Scolastiche, date le oggettive difficoltà applicative e la carenza strutturale di risorse, potranno soprassedere, in attesa che siano emanate disposizioni più precise; altre, invece, cercheranno di attuare – presumiamo con non poche difficoltà – le disposizioni in esse contenute perché “lo dice la legge”.

In realtà, i cambiamenti – soprattutto quelli significativi che incidono sulle relazioni – si affermano non già perché imposti, ma perché condivisi con chi li deve attuare. E questo richiede flessibilità, rispetto e collaborazione.

*Parlando di “proposta TreeLLLe”, ci si riferisce alla proposta presente nel rapporto intitolatoGli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte (Erickson, 2011), elaborato dalla Fondazione Agnelli – insieme all’Associazione TreeLLLe e alla Caritas Italiana ponderoso studio sull’opportunità di mandare la maggioranza degli attuali docenti per il sostegno a insegnare nelle discipline curricolari di rispettiva abilitazione, lasciando solo una percentuale di essi a comporre gruppi di esperti itineranti a livello provinciale o subprovinciale, come consulenti esterni alle singole scuole.

La LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) è la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

Fonte – http://www.superando.it/2013/04/04/scuola-condividere-i-cambiamenti-con-chi-li-deve-attuare/


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La discalculia è un DISTURBO SPECIFICO del calcolo che compare in età evolutiva. La caratteristica di questo disturbo è una capacità del calcolo che è al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del bambino e a un’istruzione adeguata; non è imputabile a una lesione organica o ad un apprendimento insufficiente per motivi psicologici, pedagogici o sociali.

Nei bambini con rilevanti disturbi di calcolo sono presenti deficit nel concetto di numero, nelle abilità logico-operatorie, nelle abilità del calcolo e nel ragionamento aritmetico.

 COME PROCEDE IL BAMBINO QUANDO FA I CALCOLI?

Le competenze/incompetenze sottese alle prove di calcolo sono le componenti di comprensione e di produzione del sistema dei numeri.

Il sistema di comprensione e il sistema di produzione sono dissociati a livello neuropsicologico.

Il sistema di comprensione permette di leggere i numeri in codice arabico (es. “3”) o grafemico (es. “tre”), e di riconoscere i numeri in codici uditi a voce; trasforma i numeri (uditi o letti) in una rappresentazione astratta di quantità.

Il sistema di produzione fornisce le risposte numeriche. Questo meccanismo permette di scrivere i numeri in codice arabico o grafemico e di produrre oralmente i numeri in codice fonologico.

Il sistema del calcolo assume la rappresentazione di quantità come input, la “manipola” attraverso il funzionamento di tre componenti: i segni delle operazioni, i “fatti numerici” o operazioni di base (Es.: 5×5; 10+10; ecc.), e le procedure del calcolo.

 SISTEMA DEL CALCOLO

 INPUT  ->  SISTEMA DI COMPRENSIONE    DEI NUMERI       ->  SISTEMA DI PRODUZIONE DEI NUMERI  -> OUTPUT            

I tre sistemi funzionano in base a:

• Meccanismi Semantici (regolano la comprensione della quantità) (3= o o o ).
• Meccanismi Lessicali (regolano il nome del numero) (1-11). Nella codifica verbale di un numero, ciascuna cifra, a seconda della sua posizione, assume un “nome” diverso. I meccanismi lessicali hanno il compito di selezionare adeguatamente i nomi delle cifre per riconoscere quello del numero intero.
• Meccanismi Sintattici (Grammatica Interna relativa al valore posizionale delle cifre). Ogni cifra nel comporre un numero (ad esempio le cifre 2, 7, e 4 nel comporre duecentosettantaquattro) è caratterizzata da una relazione posizionale particolare con le altre cifre costituenti il numero.
Esempio:

da      u         la posizione cambia nome e semante.
1       2
2       1

  •  COME PROCEDE IL BAMBINO DISCALCULICO O CON DIFFICOLTA’ DI CALCOLO?

Poiché il sistema del calcolo è interdipendente rispetto a quello di comprensione e a quello di produzione dei numeri, i possibili errori devono essere analizzati con attenzione in tutti e tre i sistemi, individuando il peso delle difficoltà lessicali, sintattiche e semantiche.

Errori nei sistemi di comprensione e di produzione.

Errori a base lessicale: errori che riguardano la produzione o la comprensione delle singole cifre. Esempio: 4 al posto di 7 (leggo, o mi rappresento mentalmente, scrivo o dico ad alta voce “quattro” invece di “sette”); 15 al posto di 13; 32 al posto di 31, ecc.
Errori a base sintattica: costituiscono gli errori più frequenti che i bambini commettono, sia nella comprensione sia nella produzione dei numeri. Il bambino è in grado di codificare le singole cifre ma non riesce a stabilire i rapporti tra loro in una struttura sintattica corretta. Questo tipo di errori sembra nascondere un apprendimento carente o non consolidato.
In genere, si tratta di errori di transcodificazione tra i diversi codici arabico-verbale e viceversa. Anche se un bambino sa contare oralmente e per iscritto in uno dei due codici e ha consolidato il significato di ciascun numero, può avere difficoltà nella transcodificazione, vale a dire, nel passaggio dallo stimolo uditivo o scritto nella modalità fonologica a quello scritto nella modalità arabica, o viceversa,  a seconda di quale codice è meglio appreso.
Esempi di errori dovuti al mancato riconoscimento del valore posizionale:
“trecentonovantacinque” -> 310095
“seicentocinquantadue”   -> 6100502
“cinquemilaottocentoquarantasei” -> 500080046
Un esempio di errore a base sintattica è rappresentato dallo ZERO. La parola “zero” non viene mai pronunciata (produzione in codice verbale), a meno che non si debba fare riferimento alla quantità assoluta di “zero”. Mentre quando viene scritto, invece, lo “0” (produzione in codice arabico) è necessario e ha un valore posizionale pari a quello delle altre cifre (Es.: 102).

  •  Errori nel sistema del calcolo

 1. Errori nel recupero di fatti numerici. Il sistema dei numeri funziona in memoria come una vera e propria struttura a rete: la somma di due numeri coincide con la loro intersezione. Il bambino, per esempio, può non aver chiara la differenza tra addizione e moltiplicazione: 3 + 3 = 9; egli può immagazzinare in maniera errata i risultati di alcune operazioni (Es.: 3+3=9 oppure 5×2=7) e la loro memorizzazione si rafforza ogni volta che egli produce una determinata risposta per l’operazione data. Nelle ripetizioni successive dell’operazione, il bambino recupererà lo stesso risultato coerentemente con il tipo di immagazzinamento avvenuto, anche quando c’è un’associazione errata tra l’operazione e il risultato scorretto.

2. Errori nel mantenimento e nel recupero di procedure e strategie. La difficoltà nei calcoli orali, così come nei calcoli scritti, può essere imputabile a un sovraccarico di informazioni nella memoria del bambino, che non applica procedure di conteggio facilitanti. Il bambino che deve svolgere, per esempio, l’addizione “2+8”, pur avendo appreso la regola facilitante di partire dall’addendo più grande per poi aggiungere quello più piccolo, si aiuta ancora con procedure immature. Se le regole di facilitazione non vengono utilizzate con padronanza, il sistema di memoria può, quindi, iniziare a sovraccaricarsi di informazioni, con un notevole dispendio di energie cognitive e, nel caso di compiti complessi, con un vero e proprio decadimento mnestico.

3. Difficoltà visuospaziali. Se un bambino ha difficoltà ad acquisire i concetti “da destra a sinistra”, “dal basso verso l’alto”, ecc., presumibilmente incontrerà, all’interno di un’operazione aritmetica, maggiori difficoltà nell’incolonnamento dei numeri e nel seguire la direzione procedurale in senso sia orizzontale sia verticale.

4. Errori nell’applicazione delle procedure:
• Il bambino non sa cosa deve fare inizialmente, quando si trova di fronte ad una delle quattro operazioni (incolonnamento o meno, posizione dei numeri, del segno operatorio e altri segni grafici come la riga separatoria, ecc.);
• Il bambino non sa come comportarsi quando deve svolgere quella specifica operazione (addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione);
• Il bambino non sa applicare le regole di prestito e riporto: se tali regole non sono apprese, un possibile errore può essere ad es., 84 – 67 = 20 perché 4-7=0 e 8-6=2;
• Nel passaggio ad una nuova operazione, il bambino persevera nel suo ragionamento precedente e applica procedure tipiche di un’operazione, ad un’altra.  (Ad es.: si comporta in maniera identica in una addizione e in una moltiplicazione).

  •  ALTRE CARATTERISTICHE DEL BAMBINO DISCALCULICO O CON DIFFICOLTA’ DI CALCOLO

Generalmente, il bambino discalculico o con difficoltà di calcolo, così come il bambino dislessico, ha un’intelligenza nella norma; le abilità cognitive come la memoria, la percezione, l’attenzione, la concentrazione, ecc. sono adeguate. Ciò che lo caratterizza è una bassa autostima. Le reazioni emotive del bambino quando sbaglia sono reazioni naturali agli errori: egli si sente incapace, umiliato, frustrato e demotivato in maniera più o meno intensa a seconda che si trovi a scuola, in famiglia, fra gli amici. In particolare, a differenza del bambino dislessico, il bambino discalculico si sente maggiormente inadeguato e meno “intelligente” rispetto agli altri coetanei, a causa delle false credenze che esistono quando si parla di matematica: “Chi è bravo in matematica è intelligente, specialmente se è un maschio!

  •  VALUTAZIONE E INTERVENTO

Al fine di programmare un intervento riabilitativo il più possibile individualizzato, specifico e calibrato su ogni bambino, è opportuno eseguire una valida valutazione clinica. La valutazione funzionale e qualitativa, attraverso prove specifiche e test standardizzati, serve a delineare un profilo neuropsicologico del bambino. Per quel che riguarda i bambini discalculici o con difficoltà di calcolo, esistono strumenti diagnostici che permettono di valutare le competenze delle principali componenti di elaborazione cognitiva del sistema dei numeri e del calcolo.

 Test di I°  livelloAC-MT (Cornoldi, Lucangeli, Bellina, 2002) – Fornisce uno screening di base.

 Test di II° livelloABCA (Lucangeli, Tressoldi, Fiore, 1988) 3°, 4° e 5° elementare. Fornisce un profilo di discalculia evolutiva.

 Queste prove individuano le difficoltà specifiche da trattare e offrono anche gli strumenti per la riabilitazione individualizzata del bambino. L’intervento deve essere graduale: dove sono richieste più regole per la soluzione di un compito complesso (ad esempio per eseguire correttamente un’addizione, bisogna saper mettere in colonna, bisogna conoscere la regola del riporto, e così via), è necessario scomporre questo compito in unità elementari (lavorare solo sull’incolonnamento, lavorare sulle procedure dell’addizione, e così via).

Ogni unità elementare può considerarsi, quindi, un’attività su cui esercitarsi fino alla sua acquisizione, prima di essere associata ad altre.

Oltre all’intervento puramente legato alle difficoltà di calcolo, è fondamentale lavorare con il bambino sulla sua autostima e sulla sua motivazione; attraverso un approccio metacognitivo, si fa riflettere il bambino sul fatto che egli ha delle difficoltà dovute ad un mal funzionamento di quelle parti del cervello che sottendono alle abilità matematiche e che il resto delle funzioni mentali generali non è compromesso: “L’intelligenza non c’entra niente con le tue difficoltà in matematica!
La riabilitazione deve essere attuata in stretta collaborazione con la scuola e con la famiglia.

  • DEFINIZIONE 

Compromissione significativa e persistente dell’abilità matematica:
– deficit nel concetto di numero;
– deficit nelle abilità logico-operatorie;
– deficit nelle abilità di calcolo;
– deficit nel ragionamento aritmetico.
Capacità intellettive nella norma e assenza di deficit sensoriali e di danno neurologico.

  • COMORBIDITA’

La discalculia è comunemente associata al disturbo della Letto-Scrittura.

  • EZIOPATOGENESI

Problema neuropsicologico consistente nell’alterazione dei processi cognitivi soggiacenti l’abilità matematica. All’interno di un’architettura modulare delle funzioni mentali, è presente un disordine delle componenti della funzione aritmetica.
Condizioni necessarie sufficienti per l’apprendimento dell’abilità matematica:
– strutture mentali di elaborazioni idonee (fattori neurofunzionali endogeni)
– input adeguati da parte dell’ambiente (fattori educativi, stile d’insegnamento, ecc.)

  • INSORGENZA

Età critica: tra i 4,5 e i 5,5 anni.
Si rilevano difficoltà in ambito matematico a scuola, quando il bambino rimane indietro rispetto ai compagni della sua età.
Sarebbe opportuno intervenire tempestivamente, già in 1° elementare, onde evitare un rafforzamento degli errori che mette in atto il bambino. Gli insegnanti o i genitori, a volte, si accorgono tardi del problema, anche perché il bambino applica una varietà di strategie sostitutive per ottenere una pseudo-soluzione alle sue difficoltà.

 Fonte – http://www.centronous.com/discalculia.php