Posts contrassegnato dai tag ‘Inclusione scolastica’


Università degli studi di Bergamo
Dipartimento di Scienze umane e sociali

Index for Inclusion Network - sito esterno   Intervita - sito esternobes inclusione 2014
Bisogni educativi speciali e pratiche inclusive
Seconda edizione – Università di Bergamo – 23-24 ottobre 2014
http://www.unibg.it/inclusion2014

La scuola attuale è un contesto di apprendimento in rapida evoluzione. Continuare a guardare agli studenti come una popolazione omogenea non è più possibile, poiché la diversità – in termini di cultura, lingua, genere, organizzazione familiare, stili di apprendimento, etc. – rappresenta ormai una caratteristica intrinseca di ogni scuola e una sfida fondamentale per l’educazione.

Il dibattito sui Bisogni Educativi Specifici (BES) riflette in gran parte questa sfida. Interrogarsi su come sia possibile lavorare nella scuola implica infatti un’attenta riflessione su ciò che consideriamo “normale” e “speciale”. Attualmente l’intervento educativo indirizzato ai BES è modellato prevalentemente su una visione del bisogno come deficit che si trova “dentro” l’alunno, e viene dato scarso rilievo invece al ruolo dell’ambiente di apprendimento. L’attenzione si concentra infatti molto più sull’alunno che sull’insieme della classe, e sugli aspetti cognitivi e tecnici anziché sulle dimensioni affettive, socio-culturali e di comunità proprie del contesto d’apprendimento. È bene ricordare, in questo senso, che gli studenti non sono “problemi da risolvere”: essi sono semmai la soluzione. Guardare agli studenti e ai loro bisogni come “voci segrete” che meritano di essere ascoltate rende possibile adottare un approccio trasformativo, che ravvisa nelle differenze lo stimolo per lo sviluppo di pratiche educative a beneficio di tutti gli alunni e dell’intera comunità scolastica. È in questa direzione che la scuola può diventare un’organizzazione inclusiva e “in movimento”.
L’obiettivo del convegno è offrire una piattaforma, anche attraverso il contributo di studiosi internazionali, per promuovere il dialogo e le buone pratiche tra i professionisti dell’educazione impegnati nella costruzione di una scuola inclusiva. La conferenza ospiterà inoltre, come evento speciale, la presentazione della nuova edizione italiana dell’Index per l’inclusione, uno strumento efficace per realizzare processi inclusivi nella scuola.

 



Imparare Comunicare Agire in una Rete Educativa
GLI ALUNNI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E IL MODELLO ANTROPOLOGICO ICF DELL’OMS

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali vivono una situazione particolare, che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo: questa situazione negativa può essere a livello organico, biologico, oppure familiare, sociale, ambientale, contestuale o in combinazioni di queste. Un alunno con Bisogni Educativi Speciali può avere una lesione cerebrale grave, o la sindrome di Down, o una lieve disfunzionalità cerebrale e percettiva, o gravi conflitti familiari, o background sociale e culturale diverso o deprivato, reazioni emotive e/o comportamentali disturbate, ecc.

Queste (e altre) situazioni causano direttamente o indirettamente — grazie all’opera mediatrice di altri fattori (personali e/o contestuali: si veda poi la concettualizzazione del funzionamento umano dell’ICF) —, difficoltà, ostacoli o rallentamenti nei processi di apprendimento che dovrebbero svolgersi nei vari contesti. Queste difficoltà possono essere globali e pervasive (si pensi all’autismo) oppure più specifiche (ad esempio nella dislessia), settoriali (disturbi del linguaggio, disturbi psicologici d’ansia, ad esempio); gravi o leggere, permanenti o (speriamo) transitorie.

In questi casi i normali bisogni educativi che tutti gli alunni hanno (bisogno di sviluppare competenze, bisogno di appartenenza, di identità, di valorizzazione, di accettazione, solo per citarne alcuni) si «arricchiscono» di qualcosa di particolare, di «speciale» nel loro funzionamento. Il loro bisogno normale di sviluppare competenze di autonomia, ad esempio, è complicato dal fatto che possono esserci deficit motori, cognitivi, oppure difficoltà familiari nel vivere positivamente l’autonomia e la crescita, e così via.

Definire, cercare e riconoscere i Bisogni Educativi Speciali non significa «fabbricare» alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo, anche nuovo e sottile. Significa invece rendersi bene conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato. Non farlo, quello sì che sarebbe discriminante, sarebbe incuria. Come è discriminante doversi per forza sottoporre a una diagnosi medica per ottenere qualche risorsa in più. È discriminante e penoso, mortificante per le famiglie e per gli alunni stessi, quando se ne rendono conto. Invece non è un’etichetta discriminante «Bisogni Educativi Speciali» perché è amplissima, non fa riferimento solo ad alcuni tipi di cause e non è stabile nel tempo: la si può togliere, infatti, in alcuni casi. Si potrebbe dire che ogni bambino può incontrare nella sua vita una situazione che gli crea Bisogni Educativi Speciali; dunque è una condizione che ci riguarda tutti e a cui siamo tenuti, deontologicamente e politicamente, a rispondere in modo adeguato e individualizzato.

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali hanno infatti necessità di interventi tagliati accuratamente su misura della loro situazione di difficoltà e dei fattori che la originano e/o mantengono. Questi interventi possono essere ovviamente i più vari nelle modalità (molto tecnici o molto informali), nelle professionalità coinvolte, nella durata, nel grado di «mimetizzazione» all’interno delle normali attività scolastiche (in questo caso si parla di «speciale normalità»: una normalità educativa-didattica resa più ricca, più efficace attraverso le misure prese per rispondere ai Bisogni Educativi Speciali).

In alcuni casi questa individualizzazione prenderà la forma di un formale Piano educativo individualizzato-Progetto di vita, in altri sarà, ad esempio, una «semplice» e informale serie di delicatezze e attenzioni psicologiche rispetto a una situazione familiare difficile, in altri ancora potrà essere uno specifico intervento psicoeducativo nel caso di comportamenti problema, e così via.

I Bisogni Educativi Speciali sono dunque molti e diversi: una scuola davvero inclusiva dovrebbe essere in grado di leggerli tutti (individuando così il reale «fabbisogno» di risorse aggiuntive) e su questa base generare la dotazione di risorse adeguata a dare le risposte necessarie. C’è però bisogno di una cornice forte che orienti questa lettura, una cornice concettuale e antropologica unica per cogliere le varie dimensioni dei bisogni «forti» e di quelli «deboli», che rischiano di non essere riconosciuti con piena dignità.

L’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2002) è il modello concettuale che serve a questa lettura e che proponiamo qui a questo scopo e per la nuova Diagnosi funzionale educativa. È appropriato proporre la struttura concettuale dell’ICF, perché questo approccio parla di salute e di funzionamento globale, non di disabilità o patologie. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, la situazione di una persona va letta e compresa profondamente in modo olistico e complesso, da diverse prospettive, e in modo interconnesso e reciprocamente causale.

Crediamo che questo modello sia utile per una lettura dei Bisogni Educativi Speciali in un’ottica di salute globale, per una comprensione qualitativa degli «ambiti» di difficoltà di un alunno e una definizione dei corrispondenti «ambiti» di risorse.

La situazione di salute di una persona è la risultante globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati nello schema seguente. Condizioni fisiche e fattori contestuali agli estremi del modello: la mia dotazione biologica da un lato e dall’altro l’ambiente in cui cresco, dove accanto a fattori esterni (relazioni, culture, ambienti, ecc.) incontro fattori contestuali personali, le dimensioni psicologiche che fanno da «sfondo interno» alle mie azioni (autostima, identità, motivazioni, ecc.). Nella grande dialettica tra queste due enormi classi di forze (biologiche e contestuali) si trova il mio corpo, come concretamente è fatto (struttura) e come realmente funziona (funzioni). Ma il mio corpo agisce con delle reali capacità e performance (attività personali) e si integra socialmente (partecipazione sociale). Quando tutto questo va bene e agisce in sinergia, sarò sano e funzionerò bene, altrimenti sarò malato, o disabile, o con Bisogni Educativi Sociali, oppure emarginato, ecc.

L’alunno che viene conosciuto e compreso, nella complessità dei suoi bisogni, attraverso il modello ICF, può evidenziare difficoltà specifiche in vari ambiti:

  • Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni cromosomiche particolari, lesioni, ecc;
  • Strutture corporee: mancanza di un arto, di una parte della corteccia cerebrale, ecc.;
  • Funzioni corporee: deficit visivi, deficit motori, deficit attentivi, di memoria, ecc.;
  • Attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione e di linguaggio, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di autonomia personale e sociale, di cura del proprio luogo di vita, ecc.;
  • Partecipazione sociale: difficoltà a rivestire in modo integrato i ruoli sociali di alunno, a partecipare alle situazione sociali più tipiche, nei vari ambienti e contesti;
  • Fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa, situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e risorse, ecc.;
  • Fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive, scarsa motivazione, ecc.

In uno o più di questi ambiti si può generare un Bisogno Educativo Speciale specifico, che poi interagirà con gli altri ambiti, producendo la situazione globale e complessa di quest’alunno. Ovviamente, il peso dei singoli ambiti varierà da alunno ad alunno, anche all’interno di una stessa condizione biologica originaria (non esistono infatti due alunni con Sindrome di Down uguali) o contestuale ambientale (non esistono infatti due alunni figli di immigrati senegalesi uguali, ad esempio).

Il modello ICF (sia che venga usato per una diagnosi funzionale ufficiale — si veda il nuovo modello ICF di diagnosi funzionale — sia che ci serva per una comprensione più informale della situazione) ci aiuta a leggere le diverse situazioni di difficoltà degli alunni: alcune di esse saranno caratterizzate da problemi biologici, corporei e di capacità; altre da problemi contestuali ambientali, di capacità e di partecipazione; altre primariamente da fattori contestuali ambientali; altre principalmente da difficoltà di partecipazione sociale (esistono ancora situazioni di discriminazione, non dimentichiamolo!) a causa di fattori contestuali ambientali ostili, e così via.

Fonte – http://archivio.pubblica.istruzione.it/dgstudente/icare/bisogni_educativi_speciali.shtml

L’USR Lombardia ha pubblicato un’approfondita guida dal titolo “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”.

Si tratta di un documento approfondito ed operativo che affronta la questione dei Bisogni educativi speciali in modo sistematico e facendo una ricognizione della normativa vigente. Il documento è stato realizzato con la collaborazione dei referenti provinciali UST, dei Dirigenti scolastici del Tavolo tematico “Successo scolastico”, di esperti e con la condivisione del GLIR Lombardia.

Scaricate in calce all’articolo la GUIDA

INDICE

1. Finalità del documento

2. La scuola inclusiva
2.1 Definire i Bisogni Educativi Speciali
2.2 Evitare gli automatismi
2.3 Progettare in funzione dell’inclusione
2.4 Agire nelle classi sul piano della didattica e dell’orientamento

3. Le diverse situazioni di BES
3.1 La lettura pedagogica dei BES e la logica dell’ICF
3.2 Procedura di individuazione delle situazioni di BES

4. Ruoli e compiti a livello di singola Istituzione Scolastica 
4.1 Il team docenti / consiglio di classe e il PDP
4.2 Personalizzazione e individualizzazione: la prospettiva didattica
4.3 Strumenti compensativi e misure dispensative

5. Ruoli e organismi d’istituto 
5.1 Funzioni e figure d’Istituto
5.2 Il GLI e il PAI

6. Verifica e valutazione
6.1 Alunni con disabilità
6.1.1 Esami di Stato
6.2 Alunni con DSA
6.2.1 Dispensa dalla Lingua straniera scritta
6.2.2 Esonero dalla Lingua straniera
6.2.3 Esame di Stato
6.2.4 Recupero del debito scolastico
6.3 Alunni con altre situazioni BES

7. Le risorse e l’organizzazione territoriale a supporto dell’attuazione della Direttiva 
7.1 Il livello regionale
7.2 Il livello provinciale
7.3 Il livello delle reti di scuole e delle singole scuole
7.4 La formazione dei docenti

8. Glossario

9. Principali riferimenti normativi

Scarica il documento


La formazione docente per l’inclusione
PROFILO DEI DOCENTI INCLUSIVI

La European Agency for Development in Special Needs Education ha pubblicato lo scorso anno un profilo di 4 aree di competenza che definiscono l’insegnante inclusivo.

La prima questione interessante è che non si parla mai di insegnanti specializzati o di sostegno…l’idea di fondo è che ogni insegnante debba farsi carico di una “missione inclusiva”, anche perché -e qui cito testualmente- “i valori e le aree di competenza del Profilo dei Docenti Inclusivi sono valide per tutti gli studenti e non solo quelli a rischio di esclusione”. Un secondo aspetto interessante è che le aree di competenza sono fortemente ancorate ad una dimensione valoriale.

Esse si compongono dei tre elementi: di comportamento e opinioni personali, conoscenza e comprensione e, infine, capacità e abilità. Proprio nel primo elemento sono radicati valori e opinioni personali, sulla cui base, attraverso una serie di conoscenze, diventa possibile tradurre in pratica con alcune abilità quella visione valoriale inclusiva. Infine, poi, sono proprio interessanti le 4 aree di competenza in sé.

  • Valorizzare la diversità dell’alunno – la differenza è da considerare una risorsa e una ricchezza.

Le aree di competenza riportano a:
– Opinioni personali sull’integrazione scolastica e sull’inclusione;
– Opinioni personali sulla differenza che esiste nel gruppo-classe.

  • Sostenere gli alunni – coltivare alte aspettative sul successo scolastico degli alunni.

Le aree di competenza riportano a:
– Promuovere l’apprendimento disciplinare, pratico, sociale ed emotivo;
– Adottare approcci didattici efficaci per classi eterogenee.

  • Lavorare con gli altri – la collaborazione e il lavoro di gruppo sono essenziali a tutti i docenti.

Le aree di competenza riportano a:
– Saper lavorare con i genitori e le famiglie;
– Saper lavorare con più professionisti dell’educazione.

  • Sviluppo e aggiornamento professionale – insegnare è un’attività di apprendimento e i docenti sono responsabili del proprio l’apprendimento per tutto l’arco della vita.

Le aree di competenza riportano a:
– Il docente come professionista capace di riflettere sul proprio ruolo ed il proprio operato;
– Il percorso formativo iniziale è la base dello sviluppo professionale continuo.

Insieme ai valori fondamentali e alle aree di competenza ci sono una serie di principi generali legati all’introduzione del Profilo. Profilo dei Docenti Inclusivi.  Inoltre, è possibile identificare una serie di elementi che facilitano l’adozione del Profilo.

Tali elementi non riguardano solo la possibile applicazione del Profilo nella creazione di programmi e percorsi di formazione iniziale e di abilitazione all’insegnamento, ma anche più ampie questioni che interessano la politica e la prassi scolastica ed educativa.

(Segue)

Fonte -Adattamento da http://integrazioneinclusione.wordpress.com/2013/09/10/consiglio-di-lettura-il-profilo-dei-docenti-inclusivi/


download

Condividiamo le slide presentate al seminario “Bisogni Educativi Speciali ed inclusione”, organizzato dal coordinatore del CTRH e dirigente scolastico del Comprensivo 1 di Taormina, Carla Santoro, in collaborazione con il XIV Ambito Territoriale di Messina.



La normativa (Direttiva MIUR 27/12/2012, C.M. N° 8/13) prevede come strumento programmatorio la formulazione del PAI che deve essere predisposto dal GLI (Gruppo di Lavoro per l’Inclusione che comprende al suo interno il vecchio GLHI) e deve essere approvato dal Collegio dei docenti.

Tale Piano deve annualmente individuare gli aspetti di forza e di debolezza delle attività inclusive svolte dalla scuola e quindi deve predisporre un piano delle risorse da offrire e richiedere a soggetti pubblici e del privato sociale per impostare per l’anno scolastico successivo una migliore accoglienza degli alunni con particolare attenzione a quelli con diversi Bisogni Educativi Speciali.

È parte integrante del POF di cui è quindi premessa. Per questo la C.M. n° 8/13 ha previsto che debba essere approvato annualmente entro Giugno.

Però data la brevità di tempo intercorrente tra la data di emanazione della circolare (8 Marzo 2013) e quella di redazione ed approvazione del primo PAI (30 giugno 2013), in molte scuole si è prodotta una forte resistenza per  la sua formulazione, recepita e fatta propria dai Sindacati.

Ciò ha costretto il MIUR ha diramare la Nota prot n° 1551 del 27 Giugno 2013 con la quale si demanda ai singoli Uffici Scolastici Regionali la fissazione della data entro la quale il PAI va approvato ed inviato agli stessi. In tale Nota si precisa che l’a.s. 2013/14 sarà dedicato alla sperimentazione del PAI e di raccolta da parte del MIUR delle esperienze migliori.

La Nota è importante perché approfondisce così il significato di programmazione didattica del PAI:

“Il P.A.I., infatti, non va inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come uno strumentoche possa contribuire ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati” educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola “per tutti e per ciascuno”.

La Nota precisa che quindi esso non è un piano per i soli alunni con BES, ma invece riguarda la programmazione generale della didattica della scuola, al fine di favorirne la crescita nella qualità dell’offerta formativa. In questa migliore luce chiarificatrice, a mio avviso, ben si colloca nel quadro dell’autovalutazione e valutazione della qualità della scuola che dovrà realizzarsi a seguito dell’approvazione dell’apposito decreto legislativo avvenuta l’8 Gennaio 2013 da parte del Governo.
Vedi anche le schede normative:
La circolare esplicativa della Direttiva sui BES del 2012 (CM 8/13)
La direttiva ministeriale sui BES – Bisogni Educativi Speciali (Dir. 27/12/2012)

* Autore – Salvatore Nocera
Responsabile dell’Area Normativo-Giuridica
dell’Osservatorio Scolastico sull’Integrazione dell’AIPD Nazionale


Quella che segue è una bibliografia o in maniera più corretta una  sitografia di materiale su i BES reperibili in internet. Ad ogni voce è associato un link e l’indicazione del sito in cui questo materiale è stato trovato. Sicuramente vi sono errori e mancanze che se segnalate saranno corrette.

Il materiale è ordinato in modo strettamente cronologico. In cronologia si ha la stratificazione delle informazioni nel tempo. Le altre sezioni
selezionano questo materiale rispetto a varie chiavi. Proposte sono bene accettate.

Il materiale è ordinato in modo strettamente cronologico. In cronologia si ha la stratificazione delle informazioni nel tempo. Le altre sezioni
selezionano questo materiale rispetto a varie chiavi.  Proposte sono bene accettate.

B.E.S. Bisogni educativi speciali

 

Copyright c 2013 Claudio Duchi
􀀀


“Vecchi” e nuovi compiti del GLI (già GLHI)

  Leggiamo con interesse e divulghiamo di MariaGrazia, referente regionale per la Puglia dei Genitori Tosti
Il sacro furore che sembra pervadere il MIUR e i suoi dirigenti in merito alla questione dei Bisogni Educativi Speciali (BES) sta incontrando comprensibili resistenze e, al tempo stesso, sta rivelando l’ignoranza che tanta parte della scuola ha rispetto ai processi di integrazione e agli organi inter-istituzionali che li devono attuare. In unpost introduttivo sulla questione, scrivevo:

Il sistema di istruzione viene governato a botte di decreti, direttive, circolari (che talvolta cercano addirittura di intervenire su aspetti normati da leggi…) senza che nessuno, neanche nella stanza dei bottoni, sembri almeno avere un quadro complessivo del risultato che si vuole ottenere. Non credo che nessuno possa obiettivamente affermare che esista qualcosa che assomigli minimamente a una visione condivisa di ciò che la scuola può e deve fare.  In questo, il nostro modello educativo rispecchia lo stato del nostro sistema sociale e rischia di esserne uno strumento di perpetuazione. La prospettiva non appare rosea…

In questo quadro di confusione e incertezza in merito a fini, strumenti e risorse, ultimo fulgido esempio di questa politica di  non condivisione culturale (non sappiamo ancora se destinata anche al risparmio, alla luce delle fosche previsioni contenute nel DEF del 2013) è la Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 [pdf] sui Bisogni Educativi Speciali (BES) e la successiva Circolare 8/2013 [pdf], entrambe emanate da un Governo dimissionario senza confronto o discussione alcuna.

Per chi vuole approfondire l’argomento, oltre all’ottima sintesi di Franco Castronovo (qui sotto), consiglio anche la lettura di questo documento della LEDHA scuola, che riassume le principali obiezioni in merito.

Ho ripreso questo pezzo con i riferimenti principali alla normativa esistente perché è il caso di sottolineare che la trasformazione del Gruppo Lavoro Handicap di Istituto (GLHI) in Gruppo Lavoro per l’Inclusione (GLI) è una questione delicata perché una direttiva ministeriale non può cambiare la natura di un organo i cui compiti sono definiti per legge.

Il GLI è un’estensione del GLHI e, in quanto tale, non può essere inteso come qualcosa di nuovo in assoluto nell’organizzazione scolastica (leggo e sento di scuole che hanno “creato” il GLI ignare dell’esistenza – almeno sulla carta – di un GLHI)  anche perché tutti i compiti definiti dalla normativa sull’integrazione scolastica rimangono tali, così come i diritti e i doveri nei riguardi degli alunni e degli studenti con disabilità.

A questi si aggiungono, estendendo in maniera ipertrofica i suoi compiti, quelli derivanti dai BES che possono essere ben compresi leggendo, ad esempio, la circolare emanata dall’USR Puglia in merito, che recita:

Il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI), in sostituzione e ampliamento del Gruppo di Lavoro per l’Handicap di Istituto, si propone quale soggetto promotore e coordinatore di tale azione di sistema, nella misura in cui, dando voce a tutte le componenti intra- e inter-istituzionali responsabili della presa in carico dei bisogni educativi del territorio di riferimento della singola istituzione scolastica, si qualifica come il luogo per antonomasia donde muove l’impulso all’autodiagnosi e in cui si raccolgono le proposte di azione persintetizzarle in kit metodologico-strumentali capaci di farsi bussola strategica per la promozione di apprendimenti di qualità.

Per chi conosce bene il funzionamento dei GLH, il GLI diventa (per i BES senza certificazione) una specie di GLHO collettivo (i GLHO sono gli incontri in seduta dedicata ai singoli studenti con disabilità), che deve addirittura produrre kit metodologico-strumentali buoni per tutti gli studenti con BES presenti nella scuola…

Poiché lo “strumento principe per favorire l’implementazione di detta azione di sistema è il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI)”, in cui vengono elencate le risorse e i punti qualificanti per questo ciclopico lavoro (secondo l’avv. Nocera pienamente giustificato dallo stesso art.15  della L.104 – vedi punto 6 dell’articolo), ci permettiamo di suggerire un paio di punti fermi che ci rivengono dalla normativa esistente.

1. Le risorse rivenienti dalla L. 104/92 non possono essere utilizzate in maniera impropria.

Ciò significa che nulla cambia rispetto all’assegnazione dell’organico di sostegno “globalmente” alla scuola (così come già previsto all’articolo 19, comma 11 della Legge 111/11) o alle risorse AEC (Assistenza Educativo Culturale) che, ricordiamo, sono figure assegnate ad personam e quindi per i bisogni specifici di un certo bambino o ragazzo con disabilità. Del resto, la questione è implicitamente confermata dalla circolare USR di cui sopra in cui si legge che il PAI

“è funzionale alla riorganizzazione qualificata delle risorse in campo per la realizzazione della dimensione inclusiva della scuola e non per la giustificazione di richieste, ad esempio, di dotazioni organiche ulteriori”

e che

“Ciascuna istituzione scolastica è pertanto invitata ad avviare un processo di messa a sistema delle risorse (infrastrutturali, strumentali, professionali), degli strumenti progettuali, di ricerca, valutativi), dei soggetti e dei luoghi istituzionali, intra- e inter-istituzionali, funzionali alla definizione di un progetto curricolare, dapprima, quindi, di un’offerta formativa, integrata di tutte quelle azioni rivenienti anche da misure sussidiarie di finanziamento (FSE e FESR, per citarne solo alcune) unitariamente e stabilmente orientata a non lasciare indietro nessuno e a valorizzare il potenziale di ciascuno, ivi comprese le eccellenze.”

2. Il modello di PAI deve rilevare anche lo stato di attuazione della normativa sull’integrazione nella singola scuola.

Nel modello di PAI proposto dal dott. Ciambrone e riproposto dall’USR Puglia, manca  il  riferimento alla rilevazione della partecipazione dei docenti curricolari ai GLHO e alla ricognizione sui PSP (Piani di Studio Personalizzati) che derivano dal PEI (Piano Educativo Individualizzato). Se tanti abusi sono stati e sono tuttora permessi in materia di integrazione scolastica (continuiamo a usare questo termine dato che la querelle integrazione/inclusione la lasciamo ai teorici di professione) è stato proprio a causa della mancanza di valutazione e di controllo su come venivano applicate le norme così ben riassunte nelle Linee Guida dell’Integrazione scolastica del 2009. In parole povere sarebbe il caso di capire come i Dirigenti Scolastici (che, non dimentichiamo, hanno il dovere di istituire i GLHI per legge) e i docenti curricolari partecipano e contribuiscono al processo di integrazione degli alunni e studenti con disabilità, inserendo nella valutazione indicatori quali il grado di stabilità dei docenti nominati sul sostegno e il possesso di specializzazione. Potrebbe essere un punto di partenza per avere un quadro globalmente (e doverosamente) più completo.

Maria Grazia Fiore, docente curricolare, referente regionale per la Puglia dei Genitori Tosti


 20 maggio, 2013 in Speculum Maius; Ringraziamo Maria Grazia Fiore per il suo prezioso contributo

“Una progettazione educativa che scaturisca dal principio del diritto allo studio e allo sviluppo, nella logica anche della costruzione di un progetto di vita che consente all’alunno di ‘avere un futuro’, non può che definirsi all’interno dei *Gruppi di lavoro*deputati a tal fine per legge. *L’istituzione di tali Gruppi in ogni istituzione scolastica è obbligatoria, non dipendendo dalla discrezionalità dell’autonomia funzionale*.”

Da: Linee Guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, 2009, p.14

Lo schema teorico che sto idealmente tenendo in questa serie di contributi sulla Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, è articolato secondo uno schema che va dal macro (il contesto culturale e normativo di questa “rivoluzione” a livello sociale e istituzionale) al micro (il contesto classe), passando ovviamente per il medio, rappresentato dalla specificità del contesto in cui si opera.

La mappa la trovate su Mindomo [qui in versione html]

La Direttiva  del 27 dicembre (e successiva circolare) trasformano il GLH di Istituto in Gruppo di lavoro per l’inclusione, estendendo le competenze di questo organo a tutte le tipologie di BES (Bisogni Educativi Speciali) e non solo a quelli che rientrano nell’ambito dellaL.104/1992 (che da diritto all’insegnante specializzato di sostegno), che ha introdotto questi gruppi con l’art. 15. In realtà, questa estensione non riguarda solo il livello di istituto ma anche gli altri gruppi a livello territoriale, rendendo quindi necessario capire di quanti e quali tipi di gruppi stiamo parlando e quali sono le loro funzioni.

Vi propongo, dunque, in prima battuta, una presentazione informativa sull’argomento, perché – quando esistono (non solo sulla carta) – i GLHI funzionano in maniera molto diversa da scuola a scuola. E se non si sa da dove si parte (e qual è la realtà specifica del nostro contesto di riferimento), sarà molto difficile capire dove si sta andando o almeno provarci. A seguire, qualche nota per stimolare la riflessione su qual è la cultura dell’integrazione/inclusione scolastica del nostro contesto lavorativo, testimoniata – in primo luogo – dalla maniera in cui vengono fatti funzionare questi gruppi…

GLHI versus GLI


images (2)

ROMA – Sarà il primo Premio alla didattica digitale nella lingua internazionale dei segni-LIS. Si svolgerà il 28 settembre nell’auditorium della Facolta’ Pontificia Teologica di Roma- San Bonaventura Seraphicum, patrocinante dell’evento.

 Un riconoscimento ai migliori progetti e iniziative dedicate all’inclusione scolastica e all’autonomia degli studenti con disturbi evolutivi specifici, dell’apprendimento, deficit del linguaggio, abilità non verbali, coordinazione motoria, attenzione e dell’iperattività. La nuova didattica digitale,con lavagne interattive, postazioni multimediali con tanto di banco-tablet e software specifici, è infatti già adottata da molte realtà italiane per aiutare studenti con disturbi di DSA-ADHD-AUTISMO e deficit verbali, visivi, motori e audiologici.

La scuola sta cambiando. Già dal prossimo anno scolastico potrà essere regolamentata l’individuazione precoce dei disturbi di apprendimento nella scuola con il decreto firmato la scorsa settimana (ndr, fine di aprile) dai ministri della Salute, Renato Balduzzi, e dell’Istruzione,Francesco Profumo. In vista di questo è quanto mai urgente individuare le iniziative rivolte alla promozione di una didattica mirata all’inclusione scolastica attraverso la tecnologia.

La tecnologia avvicina gli studenti all’inclusione per una scuola condivisa: dalla primaria all’Università. Scuole, associazioni di genitori, enti,aziende e case editrici operanti nel settore dei BES sono i candidati ideali del GLOBO TRICOLORE 2013,giunto alla V Edizione. Presenti nella giuria: Cesare Cornoldi e Ivano Spano dell’Università di PadovaGiacomo Stella dell’Università di Modena-Reggiol’ ISSR-Istituto Statale Sordi di Roma. Il bando scade il 20 giugno 2013.

Fonte – http://www.giornaledimontesilvano.com/cultura/34-cultura/19040-premio-alla-didattica-30-per-i-bisogni-educativi-speciali-bes.html