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PAI Piano annuale d'inclusività

Entro la fine di Giugno occorre redigere il Piano Annuale per l’inclusività (PAI) estensivamente per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali. Per quest’anno il MIUR ha predisposto un modello esemplificativo di PAI scaricabile cliccando il link in basso

Scarica qui il modello di PAI elaborato dal MIUR

Fonte: Orizzontescuola


Gruppo OFFICINA PER LA DIDATTICA INCLUSIVA

Carissimi sono lieto di comunicarvi che siamo in 3000. Grazie per la vostra passione e per i vostri contributi, seri e preziosi.

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Quali informazioni ricavare dal confronto con i clinici e dalla lettura del documento diagnostico di un alunno con disturbo specifico di apprendimento in vista della stesura del PDP?

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Imparare Comunicare Agire in una Rete Educativa
GLI ALUNNI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI E IL MODELLO ANTROPOLOGICO ICF DELL’OMS

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali vivono una situazione particolare, che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo: questa situazione negativa può essere a livello organico, biologico, oppure familiare, sociale, ambientale, contestuale o in combinazioni di queste. Un alunno con Bisogni Educativi Speciali può avere una lesione cerebrale grave, o la sindrome di Down, o una lieve disfunzionalità cerebrale e percettiva, o gravi conflitti familiari, o background sociale e culturale diverso o deprivato, reazioni emotive e/o comportamentali disturbate, ecc.

Queste (e altre) situazioni causano direttamente o indirettamente — grazie all’opera mediatrice di altri fattori (personali e/o contestuali: si veda poi la concettualizzazione del funzionamento umano dell’ICF) —, difficoltà, ostacoli o rallentamenti nei processi di apprendimento che dovrebbero svolgersi nei vari contesti. Queste difficoltà possono essere globali e pervasive (si pensi all’autismo) oppure più specifiche (ad esempio nella dislessia), settoriali (disturbi del linguaggio, disturbi psicologici d’ansia, ad esempio); gravi o leggere, permanenti o (speriamo) transitorie.

In questi casi i normali bisogni educativi che tutti gli alunni hanno (bisogno di sviluppare competenze, bisogno di appartenenza, di identità, di valorizzazione, di accettazione, solo per citarne alcuni) si «arricchiscono» di qualcosa di particolare, di «speciale» nel loro funzionamento. Il loro bisogno normale di sviluppare competenze di autonomia, ad esempio, è complicato dal fatto che possono esserci deficit motori, cognitivi, oppure difficoltà familiari nel vivere positivamente l’autonomia e la crescita, e così via.

Definire, cercare e riconoscere i Bisogni Educativi Speciali non significa «fabbricare» alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo, anche nuovo e sottile. Significa invece rendersi bene conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato. Non farlo, quello sì che sarebbe discriminante, sarebbe incuria. Come è discriminante doversi per forza sottoporre a una diagnosi medica per ottenere qualche risorsa in più. È discriminante e penoso, mortificante per le famiglie e per gli alunni stessi, quando se ne rendono conto. Invece non è un’etichetta discriminante «Bisogni Educativi Speciali» perché è amplissima, non fa riferimento solo ad alcuni tipi di cause e non è stabile nel tempo: la si può togliere, infatti, in alcuni casi. Si potrebbe dire che ogni bambino può incontrare nella sua vita una situazione che gli crea Bisogni Educativi Speciali; dunque è una condizione che ci riguarda tutti e a cui siamo tenuti, deontologicamente e politicamente, a rispondere in modo adeguato e individualizzato.

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali hanno infatti necessità di interventi tagliati accuratamente su misura della loro situazione di difficoltà e dei fattori che la originano e/o mantengono. Questi interventi possono essere ovviamente i più vari nelle modalità (molto tecnici o molto informali), nelle professionalità coinvolte, nella durata, nel grado di «mimetizzazione» all’interno delle normali attività scolastiche (in questo caso si parla di «speciale normalità»: una normalità educativa-didattica resa più ricca, più efficace attraverso le misure prese per rispondere ai Bisogni Educativi Speciali).

In alcuni casi questa individualizzazione prenderà la forma di un formale Piano educativo individualizzato-Progetto di vita, in altri sarà, ad esempio, una «semplice» e informale serie di delicatezze e attenzioni psicologiche rispetto a una situazione familiare difficile, in altri ancora potrà essere uno specifico intervento psicoeducativo nel caso di comportamenti problema, e così via.

I Bisogni Educativi Speciali sono dunque molti e diversi: una scuola davvero inclusiva dovrebbe essere in grado di leggerli tutti (individuando così il reale «fabbisogno» di risorse aggiuntive) e su questa base generare la dotazione di risorse adeguata a dare le risposte necessarie. C’è però bisogno di una cornice forte che orienti questa lettura, una cornice concettuale e antropologica unica per cogliere le varie dimensioni dei bisogni «forti» e di quelli «deboli», che rischiano di non essere riconosciuti con piena dignità.

L’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2002) è il modello concettuale che serve a questa lettura e che proponiamo qui a questo scopo e per la nuova Diagnosi funzionale educativa. È appropriato proporre la struttura concettuale dell’ICF, perché questo approccio parla di salute e di funzionamento globale, non di disabilità o patologie. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, la situazione di una persona va letta e compresa profondamente in modo olistico e complesso, da diverse prospettive, e in modo interconnesso e reciprocamente causale.

Crediamo che questo modello sia utile per una lettura dei Bisogni Educativi Speciali in un’ottica di salute globale, per una comprensione qualitativa degli «ambiti» di difficoltà di un alunno e una definizione dei corrispondenti «ambiti» di risorse.

La situazione di salute di una persona è la risultante globale delle reciproche influenze tra i fattori rappresentati nello schema seguente. Condizioni fisiche e fattori contestuali agli estremi del modello: la mia dotazione biologica da un lato e dall’altro l’ambiente in cui cresco, dove accanto a fattori esterni (relazioni, culture, ambienti, ecc.) incontro fattori contestuali personali, le dimensioni psicologiche che fanno da «sfondo interno» alle mie azioni (autostima, identità, motivazioni, ecc.). Nella grande dialettica tra queste due enormi classi di forze (biologiche e contestuali) si trova il mio corpo, come concretamente è fatto (struttura) e come realmente funziona (funzioni). Ma il mio corpo agisce con delle reali capacità e performance (attività personali) e si integra socialmente (partecipazione sociale). Quando tutto questo va bene e agisce in sinergia, sarò sano e funzionerò bene, altrimenti sarò malato, o disabile, o con Bisogni Educativi Sociali, oppure emarginato, ecc.

L’alunno che viene conosciuto e compreso, nella complessità dei suoi bisogni, attraverso il modello ICF, può evidenziare difficoltà specifiche in vari ambiti:

  • Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni cromosomiche particolari, lesioni, ecc;
  • Strutture corporee: mancanza di un arto, di una parte della corteccia cerebrale, ecc.;
  • Funzioni corporee: deficit visivi, deficit motori, deficit attentivi, di memoria, ecc.;
  • Attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione e di linguaggio, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di autonomia personale e sociale, di cura del proprio luogo di vita, ecc.;
  • Partecipazione sociale: difficoltà a rivestire in modo integrato i ruoli sociali di alunno, a partecipare alle situazione sociali più tipiche, nei vari ambienti e contesti;
  • Fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa, situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e risorse, ecc.;
  • Fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive, scarsa motivazione, ecc.

In uno o più di questi ambiti si può generare un Bisogno Educativo Speciale specifico, che poi interagirà con gli altri ambiti, producendo la situazione globale e complessa di quest’alunno. Ovviamente, il peso dei singoli ambiti varierà da alunno ad alunno, anche all’interno di una stessa condizione biologica originaria (non esistono infatti due alunni con Sindrome di Down uguali) o contestuale ambientale (non esistono infatti due alunni figli di immigrati senegalesi uguali, ad esempio).

Il modello ICF (sia che venga usato per una diagnosi funzionale ufficiale — si veda il nuovo modello ICF di diagnosi funzionale — sia che ci serva per una comprensione più informale della situazione) ci aiuta a leggere le diverse situazioni di difficoltà degli alunni: alcune di esse saranno caratterizzate da problemi biologici, corporei e di capacità; altre da problemi contestuali ambientali, di capacità e di partecipazione; altre primariamente da fattori contestuali ambientali; altre principalmente da difficoltà di partecipazione sociale (esistono ancora situazioni di discriminazione, non dimentichiamolo!) a causa di fattori contestuali ambientali ostili, e così via.

Fonte – http://archivio.pubblica.istruzione.it/dgstudente/icare/bisogni_educativi_speciali.shtml

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Un libro per bambini sul tema della diversità.

Il piccolo protagonista che ci racconta la sua storia in prima persona è un coniglietto giallo. Tutti i componenti della sua famiglia sono bianchi e da sempre lo hanno fatto sentire speciale per questa sua differenza. Quando, però, inizia ad andare a scuola i compagni cominciano a deriderlo e a farlo sentire strano, più che speciale. Al coniglietto, ora, non fa più piacere essere diverso. Un giorno, tornando a casa, trova per strada una foglia blu e ne resta particolarmente sorpreso. Lui fin’ora ha visto sempre e solo foglie rosse. Così, determinato a scoprire le misteriose origini di quella foglia, tanto diversa dal resto, proprio come lui, parte per un viaggio. Troverà così un intero albero di foglie blu e un altro coniglietto giallo: il nostro amico, quindi, non è solo.

Questo breve libricino è costellato da illustrazioni, anzi, si potrebbe dire che sono le illustrazioni ad essere costellate dal racconto. Le poche righe per pagina, infatti, prendono vita immediatamente in immagini perfettamente correlate, come se le une fossero imprescindibili dalle altre e quasi come se, togliendo i disegni, il testo assumesse un significato differente e, in un certo senso, incompleto.

“Blu come me” è un libro delizioso. Si tratta di un testo per bambini, ma senza dubbio ne troverebbero giovamento moltissimi genitori. Lo stile con cui è scritto ricorda un po’ quello di Antoine De Saint-Exupéry ne “Il piccolo principe” (altro capolavoro immancabile nelle librerie di figli e genitori), nel senso che, nonostante la sua semplicità, vi traspare una forte vena poetica e l’intero testo è carico di significati intrinsechi, compresi più o meno appieno a seconda dell’età del lettore. Viene affrontato il tema delicato (specialmente ai giorni nostri) della diversità con una sensibilità strabiliante. “Blu come me” è un libro che tutti i bambini in tenera età dovrebbero leggere, per iniziare il difficile cammino della formazione con una mentalità aperta, aspetto fondamentale in questo nostro periodo storico. Il racconto, inoltre, dà anche una altra lezione ai più piccoli (e perché no, anche ai più grandi): l’importanza di viaggiare e di aprirsi a nuove culture per capire che siamo tutti diversi e tutti “speciali”.

Blu come me

Ivan Canu (testo) e Francesco Pirini (illustrazioni)


Presentazione

La matematica è una materia che deve piacere altrimenti si fa fatica ad imparare.E’ risaputo, infatti, che essa non riscuote, tra i ragazzi, larghi consensi.Sono convinta che si potrebbe iniziare a presentarla, sotto forma di gioco, ai bambini  dalla Scuola dell’Infanzia A loro piace molto giocare e giocare con i numeri potrebbe essere un gioco nuovo e divertente.Diamo il via, dunque, ad attività che li veda contare, misurare, pesare.La creatività non ci manca e i piccoli ci aiuteranno a raggiungere gli obiettivi fissati per loro perchè, giocando,  riusciranno ad imparare e ad amare il numero in tutte le sue forme: quantità, contare per contare, ordinare, numerare, piccole operazioni, insiemi.

Obiettivi

Affinchè il bambino sviluppi il pensiero logico-matematico, è molto importante che eserciti la capacità di cogliere le differenze quantitative, di confrontare le quantità numeriche, di riconoscere le quantità uguali, maggiori e minori e acquisisca le abilità matematiche relative alla soluzione dei problemi.

Per questo motivo deve:

Conoscere i simboli numerici e le relative quantità

Conseguire le capacità di raggruppare, ordinare, misurare, pesare

Saper fare piccole operazioni di matematica

Costruire insiemi

1IIII

Fonte – http://www.confantasia.it/Gioco%20con%20la%20matematica.htm


Il presente rapporto restituisce, in forma sintetica, gli esiti di una rilevazione promossa dall’Ufficio Scolastico regionale per la Lombardia (Ufficio IV), su sollecitazione del Tavolo regionale di lavoro sui BES, agli inizi del mese di giugno 2013. Obiettivo dichiarato della rilevazione era di raccogliere e organizzare le questioni più controverse emerse e dibattute all’interno delle scuole lombarde intorno ai contenuti e alle indicazioni operative della Direttiva MIUR del 27/12/’12 e della successiva C.M. 8 del 6/3/’13, “al fine di ricostruire il quadro delle criticità maggiormente riscontrate e di delineare lo scenario dei bisogni disupporto, di consulenza e di intervento intorno ai quali organizzare le successive attività e, in prospettiva,definire i contenuti delle linee guida regionali”.
A conclusione della rilevazione sono pervenute, via on-line, le risposte di 395 scuole lombarde, statali e paritarie, di ogni ordine e grado, corrispondenti a circa un terzo del totale delle scuole (successivamente alla scadenza della rilevazione sono pervenute numerosi altri questionari compilati, di cui non si è potuto tenere conto nella presente elaborazione)

Pubblichiamo il contributo “Bisogni Educativi Speciali: dalle norme alle azioni –modelli, risorse, strumenti“, utilizzata in occasione del seminario di Olbia del 10 settembre, organizzato dalla Cisl scuola sarda.

La presentazione è relativa al modulo n.1 del percorso presentato nella diapositiva iniziale e riporta la struttura essenziali della relazione che ovviamente ha ampliato, collegato, contestualizzato i ragionamenti condivisi con un’ampia platea per 3 ore al mattino e 2 dopo il pranzo.

BES modulo 1-OLBIA 10 settembre 2013.pdf

* Fonte – http://scuolacomunitacheapprende.myblog.it/


Bisogni Educativi Speciali su base ICF.

Un passo verso la scuola inclusiva

Autore – Dario Ianes (Note) il Venerdì 5 aprile 2013 alle ore 11.57

BES Bisogni educativi speciali

 
In questo stimolo alla riflessione e alla discussione vorrei sostenere una tesi che ritengo, e non  da oggi, particolarmente importante per lo sviluppo delle qualità inclusive della Scuola italiana  (Ianes, 2005a, 2005b; Ianes e Macchia, 2008). Credo che leggere le situazioni di alcuni alunni  attraverso il concetto di Bisogno Educativo Speciale (BES), fondato su base ICF, possa far fare alla
nostra Scuola un significativo passo in avanti verso la piena inclusione.
 
Alcune considerazioni preliminari
 
1. Il concetto di “bisogno” ha anche connotazioni negative nella nostra lingua e, per qualche  aspetto, anche in alcune teorie psicologiche. Credo che questa “negatività” possa condizionare  alcune attuali posizioni critiche nei confronti del concetto di BES, ma questo effetto alone  improprio va superato. Esaminando infatti alcune teorie psicologiche che si sono occupate di  bisogni (Maslow, Murray, Lewin) e posizioni filosofiche come quella di Heidegger, credo si possa  pensare al concetto di bisogno non tanto come ad una mancanza, privazione o deficienza, in sé negativa, ma come ad una situazione di dipendenza (interdipendenza) della persona dai suoi
ecosistemi, relazione che (se tutto va bene) porta alla persona che cresce alimenti positivi per il suo sviluppo. In altre parole, cresco bene in apprendimenti e partecipazione se questa relazione “gira bene” e posso trovare risposte e alimenti adeguati al mio sviluppo.
 
2. I sostenitori del modello sociale della disabilità e molti studiosi dell’area dei Disability Studies non amano molto il concetto di “speciale”, né applicato ai bisogni, né agli interventi educativi e didattici. Lo ritengono negativo, svalorizzante ed espressione di una costruzione sociale emarginante che opera per l’oppressione e la marginalizzazione di particolari gruppi minoritari di persone, tra cui chi ha qualche differenza rispetto ad aspettative e standard culturalmente e storicamente determinati, e dunque arbitrari. Sarebbe molto meglio, ad esempio secondo Vehmas, pensare che “ci sono solo bisogni che sono unici in ogni individuo” ( 2010, p. 92). Questo è sicuramente vero, ma ci sono situazioni problematiche di funzionamento che fanno diventare speciali i bisogni normalissimi e unici: in tali situazioni diventa più complesso fare in modo che i bisogni ottengano risposte adeguate. Dunque situazioni più complesse che richiedono azioni più complesse, “speciali”. Sicuramente esistono dinamiche di oppressione e marginalizzazione, ma esistono anche situazioni problematiche “in sé”, al di là dei meccanismi di potere, che ovviamente vanno smascherati e combattuti. Non credo dunque che pensare alle situazioni problematiche nella scuola come “speciali” inneschi meccanismi emarginanti, anche se esiste certamente il rischio del labeling e della possibile arbitrarietà dei processi decisionali che ci fanno dire che un particolare funzionamento individuale è “problematico” (vedi più avanti). Temo che una posizione critica radicale alle istituzioni formative e sociali, come quella espressa da molti esponenti dei Disability Studies, ci privi di possibilità operative positive nella realtà attuale della scuola. Spesso, come sappiamo, l’ottimo è nemico del bene.
 
3. Nella nostra Scuola c’è da tempo l’integrazione degli alunni con disabilità (fatta più o meno bene; si veda Canevaro et al. 2007; Ianes e Canevaro, 2008), ma siamo ancora lontani dall’inclusione, e cioè dal riconoscere e rispondere efficacemente ai diritti di individualizzazione di tutti gli alunni che hanno una qualche difficoltà di funzionamento.
 
Una Scuola che sa rispondere adeguatamente a tutte le difficoltà degli alunni e sa prevenirle, ove possibile, diventa poi una Scuola davvero e profondamente inclusiva per tutti gli alunni, dove si eliminano le barriere all’apprendimento e alla partecipazione di ognuno. Questo è il traguardo a cui tendere, traguardo che è ormai ben discusso anche nella letteratura scientifica internazionale
più avanzata (Booth e Ainscow, 2008) e anche nelle posizioni degli interpreti italiani dei Disabilities Studies (Medeghini, D’Alessio, Marra, Vadalà e Valtellina, 2013). Nella letteratura scientifica internazionale il concetto di “Inclusione” si applica infatti a tutti gli alunni, come garanzia diffusa e stabile di poter partecipare alla vita scolastica e di raggiungere il massimo possibile in termini di
apprendimenti e partecipazione sociale. La scuola inclusiva dovrebbe allora mettere in campo tutti i facilitatori possibili e rimuovere tutte le barriere all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni, al di là delle varie etichette diagnostiche. Nel 2005 sostenevo invece di usare la coppia di concetti Inclusione-Bisogni Educativi Speciali in modo tattico (consapevole della differenza di tale posizione rispetto agli studi sull’Inclusive Education) per stimolare un primo allargamento della cultura del riconoscimento politico dei bisogni e delle relative risorse per l’individualizzazione anche a quegli alunni in difficoltà varie ma senza diagnosi di disabilità. Allora non esisteva ancora la Legge 170 del 2010 sui DSA e la Direttiva Ministeriale del 2012 sui BES.
 
4. Il concetto di BES non ha alcun valore clinico, ma “politico” e dunque dovrebbe agire nei contesti delle politiche di riconoscimento dei diritti e di allocazione delle risorse. L’eventuale sua utilità dovrà essere in questi contesti, in cui recentemente è apparso con evidenza anche a livello nazionale con la Direttiva di Dicembre e la Circolare di Marzo.
 
5.Non racchiudiamo la nostra riflessione e il dibattito nel recinto degli atti amministrativi del MIUR sopra citati, naturalmente abbiamo tutti considerato le varie prese di posizione e commenti, ma le analisi che cercheremo di fare devono essere più ampie. Nel merito di questi due provvedimenti, ritengo comunque che essi siano passi avanti verso una scuola più inclusiva, anche
se il concetto di BES è ancora prevalentemente centrato sulle patologie e non sul funzionamento umano ICF e quello di inclusione, di conseguenza, è ancora visto come estensione ad alcuni alunni (con BES) di azioni individuali di personalizzazione-individualizzazione (peraltro necessarie) piuttosto che strutturazione diffusa di Didattiche inclusive.
 
Ma qual è la reale utilità del concetto di Bisogno Educativo Speciale?

Come si vedrà nel dettaglio nelle pagine che seguono, il concetto di Bisogno Educativo Speciale è, a mio modo di vedere, una macrocategoria che comprende dentro di sé tutte le possibili difficoltà educative-apprenditive degli alunni, sia le situazioni considerate tradizionalmente come disabilità mentale, fisica, sensoriale, sia quelle di deficit in specifici apprendimenti clinicamente significative, la dislessia, il disturbo da deficit attentivo, ad esempio, e altre varie situazioni di problematicità psicologica, comportamentale, relazionale, apprenditiva, di contesto socio-culturale, ecc.

 
Tutte queste situazioni sono diversissime tra di loro, ma nella loro clamorosa diversità c’è però un dato che le avvicina, e che le rende, a mio avviso, sostanzialmente uguali nel loro diritto a ricevere un’attenzione educativo-didattica sufficientemente individualizzata ed efficace: tutte questi alunni hanno un funzionamento per qualche aspetto problematico, che rende loro più difficile trovare una risposta adeguata ai propri bisogni.Si obietterà che non ha senso creare una nuova macrocategoria, se esistono già le singole
categorie che la compongono. Non è cioè sufficiente parlare ad esempio, di ritardo mentale, dislessia, disturbi della condotta, depressione, ecc.? Per ribattere questo punto entriamo nel dettaglio del nostro ragionamento.