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L’articolo illustra i vantaggi dell’utilizzazione dell’ICF per la definizione della Diagnosi Funzionale dei bambini  con disabilità, ma anche    per la strutturazione di un  progetto di vita individualizzato.

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ICF struttura

 


Fonte – http://www.maestrasabry.it/matematica.html


Bisogni Educativi Speciali su base ICF.

Un passo verso la scuola inclusiva

Autore – Dario Ianes (Note) il Venerdì 5 aprile 2013 alle ore 11.57

BES Bisogni educativi speciali

 
In questo stimolo alla riflessione e alla discussione vorrei sostenere una tesi che ritengo, e non  da oggi, particolarmente importante per lo sviluppo delle qualità inclusive della Scuola italiana  (Ianes, 2005a, 2005b; Ianes e Macchia, 2008). Credo che leggere le situazioni di alcuni alunni  attraverso il concetto di Bisogno Educativo Speciale (BES), fondato su base ICF, possa far fare alla
nostra Scuola un significativo passo in avanti verso la piena inclusione.
 
Alcune considerazioni preliminari
 
1. Il concetto di “bisogno” ha anche connotazioni negative nella nostra lingua e, per qualche  aspetto, anche in alcune teorie psicologiche. Credo che questa “negatività” possa condizionare  alcune attuali posizioni critiche nei confronti del concetto di BES, ma questo effetto alone  improprio va superato. Esaminando infatti alcune teorie psicologiche che si sono occupate di  bisogni (Maslow, Murray, Lewin) e posizioni filosofiche come quella di Heidegger, credo si possa  pensare al concetto di bisogno non tanto come ad una mancanza, privazione o deficienza, in sé negativa, ma come ad una situazione di dipendenza (interdipendenza) della persona dai suoi
ecosistemi, relazione che (se tutto va bene) porta alla persona che cresce alimenti positivi per il suo sviluppo. In altre parole, cresco bene in apprendimenti e partecipazione se questa relazione “gira bene” e posso trovare risposte e alimenti adeguati al mio sviluppo.
 
2. I sostenitori del modello sociale della disabilità e molti studiosi dell’area dei Disability Studies non amano molto il concetto di “speciale”, né applicato ai bisogni, né agli interventi educativi e didattici. Lo ritengono negativo, svalorizzante ed espressione di una costruzione sociale emarginante che opera per l’oppressione e la marginalizzazione di particolari gruppi minoritari di persone, tra cui chi ha qualche differenza rispetto ad aspettative e standard culturalmente e storicamente determinati, e dunque arbitrari. Sarebbe molto meglio, ad esempio secondo Vehmas, pensare che “ci sono solo bisogni che sono unici in ogni individuo” ( 2010, p. 92). Questo è sicuramente vero, ma ci sono situazioni problematiche di funzionamento che fanno diventare speciali i bisogni normalissimi e unici: in tali situazioni diventa più complesso fare in modo che i bisogni ottengano risposte adeguate. Dunque situazioni più complesse che richiedono azioni più complesse, “speciali”. Sicuramente esistono dinamiche di oppressione e marginalizzazione, ma esistono anche situazioni problematiche “in sé”, al di là dei meccanismi di potere, che ovviamente vanno smascherati e combattuti. Non credo dunque che pensare alle situazioni problematiche nella scuola come “speciali” inneschi meccanismi emarginanti, anche se esiste certamente il rischio del labeling e della possibile arbitrarietà dei processi decisionali che ci fanno dire che un particolare funzionamento individuale è “problematico” (vedi più avanti). Temo che una posizione critica radicale alle istituzioni formative e sociali, come quella espressa da molti esponenti dei Disability Studies, ci privi di possibilità operative positive nella realtà attuale della scuola. Spesso, come sappiamo, l’ottimo è nemico del bene.
 
3. Nella nostra Scuola c’è da tempo l’integrazione degli alunni con disabilità (fatta più o meno bene; si veda Canevaro et al. 2007; Ianes e Canevaro, 2008), ma siamo ancora lontani dall’inclusione, e cioè dal riconoscere e rispondere efficacemente ai diritti di individualizzazione di tutti gli alunni che hanno una qualche difficoltà di funzionamento.
 
Una Scuola che sa rispondere adeguatamente a tutte le difficoltà degli alunni e sa prevenirle, ove possibile, diventa poi una Scuola davvero e profondamente inclusiva per tutti gli alunni, dove si eliminano le barriere all’apprendimento e alla partecipazione di ognuno. Questo è il traguardo a cui tendere, traguardo che è ormai ben discusso anche nella letteratura scientifica internazionale
più avanzata (Booth e Ainscow, 2008) e anche nelle posizioni degli interpreti italiani dei Disabilities Studies (Medeghini, D’Alessio, Marra, Vadalà e Valtellina, 2013). Nella letteratura scientifica internazionale il concetto di “Inclusione” si applica infatti a tutti gli alunni, come garanzia diffusa e stabile di poter partecipare alla vita scolastica e di raggiungere il massimo possibile in termini di
apprendimenti e partecipazione sociale. La scuola inclusiva dovrebbe allora mettere in campo tutti i facilitatori possibili e rimuovere tutte le barriere all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni, al di là delle varie etichette diagnostiche. Nel 2005 sostenevo invece di usare la coppia di concetti Inclusione-Bisogni Educativi Speciali in modo tattico (consapevole della differenza di tale posizione rispetto agli studi sull’Inclusive Education) per stimolare un primo allargamento della cultura del riconoscimento politico dei bisogni e delle relative risorse per l’individualizzazione anche a quegli alunni in difficoltà varie ma senza diagnosi di disabilità. Allora non esisteva ancora la Legge 170 del 2010 sui DSA e la Direttiva Ministeriale del 2012 sui BES.
 
4. Il concetto di BES non ha alcun valore clinico, ma “politico” e dunque dovrebbe agire nei contesti delle politiche di riconoscimento dei diritti e di allocazione delle risorse. L’eventuale sua utilità dovrà essere in questi contesti, in cui recentemente è apparso con evidenza anche a livello nazionale con la Direttiva di Dicembre e la Circolare di Marzo.
 
5.Non racchiudiamo la nostra riflessione e il dibattito nel recinto degli atti amministrativi del MIUR sopra citati, naturalmente abbiamo tutti considerato le varie prese di posizione e commenti, ma le analisi che cercheremo di fare devono essere più ampie. Nel merito di questi due provvedimenti, ritengo comunque che essi siano passi avanti verso una scuola più inclusiva, anche
se il concetto di BES è ancora prevalentemente centrato sulle patologie e non sul funzionamento umano ICF e quello di inclusione, di conseguenza, è ancora visto come estensione ad alcuni alunni (con BES) di azioni individuali di personalizzazione-individualizzazione (peraltro necessarie) piuttosto che strutturazione diffusa di Didattiche inclusive.
 
Ma qual è la reale utilità del concetto di Bisogno Educativo Speciale?

Come si vedrà nel dettaglio nelle pagine che seguono, il concetto di Bisogno Educativo Speciale è, a mio modo di vedere, una macrocategoria che comprende dentro di sé tutte le possibili difficoltà educative-apprenditive degli alunni, sia le situazioni considerate tradizionalmente come disabilità mentale, fisica, sensoriale, sia quelle di deficit in specifici apprendimenti clinicamente significative, la dislessia, il disturbo da deficit attentivo, ad esempio, e altre varie situazioni di problematicità psicologica, comportamentale, relazionale, apprenditiva, di contesto socio-culturale, ecc.

 
Tutte queste situazioni sono diversissime tra di loro, ma nella loro clamorosa diversità c’è però un dato che le avvicina, e che le rende, a mio avviso, sostanzialmente uguali nel loro diritto a ricevere un’attenzione educativo-didattica sufficientemente individualizzata ed efficace: tutte questi alunni hanno un funzionamento per qualche aspetto problematico, che rende loro più difficile trovare una risposta adeguata ai propri bisogni.Si obietterà che non ha senso creare una nuova macrocategoria, se esistono già le singole
categorie che la compongono. Non è cioè sufficiente parlare ad esempio, di ritardo mentale, dislessia, disturbi della condotta, depressione, ecc.? Per ribattere questo punto entriamo nel dettaglio del nostro ragionamento.
 

Il Bisogno Educativo Speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o apprenditivo, che consiste in un funzionamento problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata. (Ianes e Macchia, 2008).

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Officina didattica inclusiva 2.0

Un blog è un particolare tipo di sito web in cui i contenuti vengono visualizzati in forma cronologica. In genere un blog è gestito da uno o più blogger che pubblicano, più o meno periodicamente, contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post, concetto assimilabile o avvicinabile ad un articolo di giornale. 

Ed ora…iniziamo! Mercurio, figlio di Zeus e della ninfa Maia, era il messaggero degli dei,  protettore dei viaggi e dei viaggiatori, della comunicazione, dell’inganno, dei ladri, dei truffatori, dei bugiardi e della divinazione; il dio  degli scambi, del profitto del mercato e del commercio.

  • Dal fascino di questa storia deriva nel 2008  il Progetto Mercurio, biblioteca virtuale di segnalazioni di risorse on line e di software didattici free per alunni della scuola  Secondaria di primo grado.
  • Nel 2012 si continua sulla piattaforma wordpress, estendo gli interessi ai “bisogni educativi speciali” e alle tematiche inclusive .

DESIDERIAMO raccogliere, mettere in rete e divulgare le migliori esperienze di innovazione didattica, di qualificazione della professionalità dei docenti e degli educatori, di diffusione di tecniche didattiche innovative, di documentazione delle buone pratiche realizzate.

Il nostro intende essere un “tentativo ragionato di buone prassi” (Best Practices) nella didattica. Un tentativo di “contaminazione positiva” attraverso esperienze che “sappiano” e “profumino” di  “qualità dell’esperienza”’, riguardo obiettivi,  processi,  strumenti e  risultati attesi.

La registrazione di qualità delle esperienze didattiche delle scuole e del mondo della ricerca teorica applicata ha lo scopo di non disperdere la cultura didattica prodotta, socializzando e rendendo patrimonio di tutti i risultati raggiunti in questo campo.

PAIDEIA – DIDATTICA SOSTENIBILE  è un blog tematico di supporto e stimolo per le attività didattiche e l’approfondimento delle conoscenze riguardo il mondo della disabilità, dello svantaggio, dei temi inclusivi ed in genere dei Bisogni Educativi Speciali.


22/05/2013 di Sara De Carli

Si scalda il clima sui BES-bisogni educativi speciali. Sul web i BES sono diventati “bisogna eliminare il sostegno”. L’allarme è fondato? Due esperti dicono «no»

«Non ne parla nessuno. Ma per il prossimo anno scolastico c’è il rischio concreto di un drastico taglio agli insegnanti di sostegno. L’ultima eredita del ministro Profumo»: è questo l’incipit allarmante di un articolo che sta girando come una trottola sul web, provocando una valanga di commenti e reazioni. L’ho visto segnalato per la prima volta domenica da Cesare Moreno, lunedì l’ha commentato Dario Ianes: tanto per dire come sia arrivato a figure-simbolo della battaglia italiana per l’inclusione scolastica.
L’articolo mette sotto accusa i BES, introdotti dalla direttiva “Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, del 27 dicembre 2012. L’articolo chiude dicendo che «i genitori a volte sono restii e denunciare l’handicap, quelle problematiche che rientrano nei disturbi specifici dell’apprendimento quali dislessia, disgrafia, discalculia. Sarà gioco facile assecondarli. Far gravare sul collegio dei docenti questi problemi e ridurre la necessità degli insegnanti di sostegno. Continuare a togliere, anche posti di lavoro, dichiarando il contrario».
La preoccupazione in rete gira. Tant’è che i BES-bisogni educativi speciali si è tramutato (non si sa quanto ironicamente) in acronimo di “Bisogna Eliminare il Sostegno”.

Ma l’allarme è fondato? La risposta è netta sia per Moreno sia per Ianes: no. Su Facebook il maestro di strada che ha inventato Change e che continua a combattere la dispersione scolastica con un team rinnovato e ringiovanito di “maestri di strada” scrive che «Che i BES implicano il taglio al sostegno a me non sembra possibile e del resto lo stesso articolo non presenta alcuna argomentazione in proposito. I motivi di preoccupazione per me sono l’opposto, e cioé che l’etichetta BES invece di servire a sviluppare una didattica più attenta finisca per sancire delle ‘impossibilità’ tranquillizzanti. Ho linkato l’articolo proprio per evidenziare che in queste condizioni, quando una direttiva come questa genera interpretazioni del tutto opposte e perentorie da parte di persone abbastanza qualificate, significa che qualsiasi mossa è sbagliata se non si svelenisce l’aria».

Per Ianes «molti nella scuola come altrove amano il complottismo e le dietrologie, ma in questo caso non vedo alcuna intenzione di tagliare il sostegno». L’analisi di Ianes, anche in questo caso approfondita e condivisa su Facebook, dice che «un pregio della circolare è la valorizzazione pedagogica e didattica del consiglio di classe, che è chiamato a programmare una didattica strutturalmente più inclusiva e non solo a redigere quattro righe di PDP come adempimento fastidioso da passare al GLI che le passerà burocraticamente nel PAI. La sfida è molto impegnativa, ma è ora che sia data una spinta ad una corresponsabilizzazione vera e piena del consiglio di classe intero, senza deleghe al sostegno, come purtroppo accade spesso nei casi di disabilità».

Fonte – http://www.vita.it/societa/scuola/i-bes-taglieranno-il-sostegno.html


di Salvatore Nocera*

La risposta di Salvatore Nocera alle voci dissenzienti apparse su queste stesse pagine, dopo un suo precedente intervento riguardante l’inclusione scolastica, gli insegnanti curricolari e quelli di sostegno. «Da sempre – scrive Nocera – sono contrario alla delega dell’inclusione ai soli docenti per il sostegno, ma questi ultimi non potranno e non dovranno mai essere eliminati». Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo

Bimba con disabilità insieme a insegnante di sostegno

Leggo con meraviglia gli articoli critici suscitati dal mio intervento sul tema dei docenti per il sostegno. Se per altro quelle voci sono di totale dissenso a quanto avevo scritto su queste pagine, è del tutto evidente che non mi sono espresso con chiarezza e quindi attribuisco solo a me le cause di tali critiche.

È vero che rispetto alle proposte di Giuseppe Felaco avevo scritto che esse potevano essere prese in considerazione, se si fossero prioritariamente realizzate due condizioni, ovvero la formazione obbligatoria iniziale e in servizio dei docenti curricolari e la riduzione del numero di alunni per classe. Successivamente, però, avevo anche affermato che – pure ammesso che tali condizioni dopo molto tempo si realizzassero – sarebbe stato del tutto impensabile licenziare gli oltre centomila attuali docenti per il sostegno. Impensabile non solo per motivi sindacali e politici, ma anche per ragioni didattiche, che non ho espresso in quel mio breve e rapido scritto, perché le avevo già esposte in numerosi scritti anche recenti.

Ho duramente criticato e continuo a criticare la proposta della Fondazione Agnelli [avanzata nel rapporto intitolato Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte, Erickson, 2011, elaborato appunto dalla Fondazione Agnelli, insieme all’Associazione TreeLLLe e alla Caritas Italiana, N.d.R.]che vorrebbe rimandare l’80% degli attuali insegnanti di sostegno a fare i docenti curricolari, lasciandone solo il 20%  a lavorare in gruppi itineranti di consulenza alle singole scuole.
E ho criticato, assai di recente, anche le proposte di “spalmare” il numero dei docenti per il sostegno anche sui casi di altri BES (Bisogni Educativi Speciali), ipotesi circolate dopo la pubblicazione della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 sui BES stessi e della successiva Circolare 8/13. Ho criticato e critico quelle proposte poiché, conoscendo ormai da decenni la situazione concreta dell’inclusione scolastica, mi rendo conto che non è pensabile affidare ai soli docenti curricolari, sia pur formati e sia pur con classi ridotte di numero di allievi, la didattica concernente l’inclusione di alunni con disabilità molto gravi.

Io stesso mi sono sempre battuto per fornire suggerimenti alle famiglie per ottenere dagli Uffici Scolastici – e in mancanza dai Giudici – il massimo delle ore di sostegno possibile in base alla normativa. Ed è pur vero che ho criticato e critico la totale delega di troppi docenti curricolari del progetto didattico di inclusione ai soli docenti per il sostegno.

Pensare tuttavia che un mio articolo possa negare tutto quello che ho sempre scritto negli anni e che continuo a scrivere giornalmente nelle mie risposte a quesiti sui siti web, mi convince che quando scrivo debbo innanzitutto tener presente che non tutti possono aver letto le altre cose da me pubblicate e che quindi possono essere tratti in inganno da un solo articolo.

La mia posizione è stata sempre chiara: sono contrario alla delega al solo docente per il sostegno; per questo chiedo la realizzazione di condizioni culturali e organizzative che garantiscano la presa in carico del progetto didattico di inclusione da parte di tutti i docenti curricolari, che però debbono essere aiutati e sostenuti in ciò dai colleghi per il sostegno. Ciò, quando si realizzeranno le condizioni sopra richieste, dovrebbe produrre una minore richiesta di ore di sostegno e ridurre al minimo il ricorso ai Tribunali Amministrativi Regionali (TAR), che sta producendo una vera e propria deriva giurisdizionale dell’inclusione scolastica.

Ma tutto ciò non potrà mai eliminare gli insegnanti per il sostegno, la cui presenza oraria, però, potrebbe ridursi con il progredire negli studi dei singoli alunni con disabilità, nella logica della “prossimità dei sostegni” formulata da Andrea Canevaro. E, aggiungo, anche in quella dell’efficacia dell’inclusione che, in base all’articolo 12, comma 3 della Legge104/92, deve realizzare la crescita degli alunni in autonomia.

In particolare, per le persone minorate della vista, ho sempre ritenuto che un alunno ben inserito e integrato fin dalla scuola dell’infanzia, man mano che va avanti negli studi potrebbe progressivamente richiedere un minor numero di ore di sostegno, grazie soprattutto alle nuove tecnologie informatiche, sino a pervenire, negli ultimi anni di scuola superiore, anche a fare a meno del docente per il sostegno. Oggi, invece, si dà acriticamente e sempre il massimo delle ore di sostegno, senza curarsi degli effettivi bisogni e della crescita in autonomia di questi alunni.
So bene che nel caso di persone minorate visive con altre minorazioni aggiunte o nel caso di alunni con autismo, ciò è impossibile, ma i minorati visivi “normodotati” debbono riuscire a farcela se vogliono veramente realizzare la loro autonomia.

Anche l’amica Maria Luisa Gargiulo avrebbe potuto superare le reali difficoltà incontrate nello svolgere le traduzioni, se avesse trovato un docente di buon senso come lo fu la mia di latino e greco di allora. Questa signora, durante le versioni, si sedeva vicino a me col vocabolario sulle gambe e mi diceva: «Dimmi il nominativo della parola che ti serve o il paradigma del verbo che vuoi cercare. Se me li dici giusti in latino o greco, io ti leggo quello che c’è scritto sul vocabolario, altrimenti vuol dire che sei ignorante e allora, per questo compito… ti attacchi!».

(Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

Fonte – http://www.superando.it/2013/05/06/inclusione-e-sostegno-per-fare-un-po-di-chiarezza/


L’anno prossimo i ragazzi con difficoltà rientreranno tra i Bisogni educativi speciali. Ma non sarà un modo per tagliare insegnanti di sostegno? Il rischio c’è.

 Non ne parla nessuno. Ma per il prossimo anno scolastico c’è il rischio concreto di un drastico taglio agli insegnanti di sostegno. L’ultima eredita del ministro Profumo. Stiamo parlando della direttiva “Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, firmata dal Ministro Profumo a inizio gennaio, prevista fin dal 27 dicembre 2012.
I Bes, l’acronimo, sono quei ragazzi che non hanno né una certificazione di disabilità né dislessia dichiarata. L’idea in sé è buona. Il consiglio di classe potrà avviare percorsi personalizzati. Potrebbe trattarsi di una difficoltà, non di un disturbo. Di un bisogno temporaneo, di un problema familiare sociale ed economico.
Il baricentro si sposta sul piano educativo e il processo di inclusione diventa qualcosa che riguarda davvero tutta la comunità educante, tutto il corpo docente. Per ogni ragazzo segnalato deve essere redatto un piano individuale di intervento. Prendiamo situazioni limite quali possono essere quartieri di marginalità conclamata, soprattutto nelle grandi metropoli. Inutile citare questo o quel quartiere. In casi così i piani individuali potrebbero riguardare una classe intera. Allora, domanda. I professori hanno il tempo necessario per fare anche questo? Come sappiamo negli anni scorsi per ogni materia d’insegnamento sono state ridotte le ore, per tagliare posti di lavoro e avere come ricaduta una minore qualità dell’istruzione.

Ma i problemi sono anche altri. Scrive Sara Biscioni di Tecnica della scuola. “Quindi tu, che sei povero, o che sei straniero, hai un Bisogno Educativo Speciale. Non lo sapevi? Tiè. L’elemento di pericolosità emerge in tutta la sua evidenza: chi è in situazione di svantaggio sociale e culturale, e chi non è madrelingua italiano, è paragonato a chi possiede una certificazione clinica di DSA (e appunto sorvolo sulla bontà di tali certificazioni, che spesso sono distribuite a piene mani a chiunque sia “poco conforme” alla figura del bravo studente – robottino)”.

Perché mettere in un’unica Circolare indicazioni per situazioni così differenti? Soprattutto, perché l’essere povero o di famiglia non italiana significa avere un Bisogno Educativo Speciale?? Perché lo dice l’Europa? Molti insegnanti penseranno: “Beh, almeno questa Circolare impone l’adozione di un Piano Educativo Personalizzato che può aiutare gli studenti non madrelingua ad accostarsi poco a poco allo studio delle discipline”, che è quanto già si fa e si dovrebbe fare attraverso una riduzione temporanea dei contenuti e una semplificazione temporanea dei testi di studio e delle verifiche in caso di difficoltà connesse alle scarse competenze in lingua italiana. Attenzione però a non confondere la bontà dello strumento (il piano personalizzato, che spesso è utile ed efficace) con la bontà del piano generale a cui lo strumento si riferisce.

Perché mettere questi studenti, e le loro difficoltà, sullo stesso piano degli studenti con difficoltà cognitive? E lo “svantaggio sociale e culturale”, cosa c’entra? Sono io la prima a sostenere che le difficoltà economiche, la mancanza di reti sociali e comunitarie, la mancanza di possibilità di accesso a strumenti di ricchezza culturale possono (possono) provocare insuccessi scolastici o precoce abbandono degli studi (e anche qui sorvolo sulle riflessioni che sarebbero dovute sui metodi e gli scopi dell’educazione statale pro – capitalista), ma in questi casi non c’è bisogno di sigle o programmazioni: c’è bisogno di agire con forza per azzerare le ingiustizie economiche, sociali e linguistiche che rendono questi studenti “svantaggiati”! Ovviamente, per limitarci alle azioni a livello scolastico, il primo passo sarebbe dare fondi e professionalità alle scuole i cui studenti maggiormente vivono queste ingiustizie..”.

Considerazioni che hanno come conseguenza quello che la Biscioni scrive ancora: “Andiamo avanti: dalla “rilevazione, monitoraggio e valutazione del grado di inclusività della scuola” si potranno “desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di miglioramento organizzativo e culturale”. Dunque indicatori di inclusività. Ottimo, uno pensa: sapremo così quali sono le scuole più attente ai bisogni degli studenti Bes, cioè con svantaggio sociale (economico non l’han scritto, che faceva brutto), culturale, problemi cognitivi e comportamentali vari, stranieri. Ma leggiamola a rovescio: sapremo esattamente quali sono le scuole con più studenti con svantaggio sociale culturale ecc… Cioè qualcuno potrà farsi un’idea precisa e scegliere magari di non mandare il proprio figlio in quella scuola così troppo “inclusiva”.

Ed ecco che l’inclusione può diventare segregazione…”. Ecco. Il rischio di scuole ghetto. Non solo. C’è il rischio dell’allargamento dei bisogni educativi speciali alle altre disabilità. I genitori a volte sono restii e denunciare l’handicap, quelle problematiche che rientrano nei disturbi specifici dell’apprendimento quali dislessia, disgrafia, discalculia. Sarà gioco facile assecondarli. Far gravare sul collego dei docenti questi problemi e ridurre la necessità degli insegnanti di sostegno. Continuare a togliere, anche posti di lavoro, dichiarando il contrario. (F.Lup.)

Fonte – http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=44164&typeb=0


“Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi
speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”

Nel servizio redazionale di Chiara Brescianini  ( Notizie della scuola, 3.4.2013) un approfondimento alla luce della circolare n.  8/2013, con la quale il Miur ha fornito indicazioni operative per la realizzazione di quanto previsto dalla Direttiva 27.12.2012 sugli “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”.

1. La Direttiva MIUR del 27.12.2012 sui BES

In data 17.1.2013, sulla rete intranet è stata resa disponibile la Direttiva MIUR del 27.12.2012 avente ad oggetto “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”.

La Direttiva ricapitola:
 i principi alla base dell’inclusione in Italia;
 il concetto di Bisogni Educativi Speciali approfondendo il tema degli alunni
o con disturbi specifici
o con disturbo dell’attenzione e dell’iperattività
o con funzionamento cognitivo limite;
 le strategie d’intervento per gli alunni con BES;
 la formazione del personale;
 l’organizzazione territoriale per l’ottimale realizzazione dell’inclusione scolastica con particolare riferimento ai Centri Territoriali di supporto ed all’equipe di docenti specializzati, curricolari e di sostegno.

Si rimanda in proposito alla specifica nota redazionale curata dalla scrivente sull’argomento.

2. La Circolare Ministeriale n. 8 prot. 561 del 6 marzo 2013: personalizzazione e Piani di Studio Personalizzati (PDP)
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con Circolare Ministeriale 6 marzo 2013 n. 8 del Dipartimento dell’Istruzione, a firma Capo Dipartimento Stellacci, ha fornito indicazioni operative per la realizzazione di quanto previsto dalla Direttiva citata.

La personalizzazione dell’apprendimento La C.M. chiarisce e sottolinea che con la Direttiva ministeriale si è aperto un nuovo fronte
relativamente alla piena inclusione di tutti gli alunni con bisogni educativi speciali, poiché richiamando la Legge 53/2003 si estende a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento.Si ricordi che la Legge 53, all’articolo 2 “Sistema educativo di istruzione e formazione”, prevede al comma 1.I che, fra i principi e criteri direttivi del sistema educativo medesimo, i
piani di studio personalizzati, nel rispetto dell’autonomia scolastica, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale.

Il Decreto Legislativo 59/2004, altresì, all’articolo 3 evidenzia che per conseguire gli obiettivi formativi, i docenti curano la personalizzazione delle attività educative, all’articolo 7 richiamano le istituzioni scolastiche a realizzare la personalizzazione del piano di studio organizzando, nell’ambito del Piano dell’Offerta Formativa, attività facoltative ed opzionali ed all’articolo 11, in relazione alla valutazione, confermano che la stessa è affidata ai docenti responsabili degli insegnamenti e delle attività educative e didattiche previste dai piani di studio personalizzati. Anche i DD.PP.RR. 87,88 e 89 per gli istituti professionali, tecnici ed i licei richiamano la citata personalizzazione dei percorsi.

La C.M. focalizza l’attenzione sull’area del DSA e del disturbo specifico evolutivo e sull’area dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale.

Chi individua gli studenti con Bisogni Educativi Speciali?La C.M. 8/2013 enuncia come doverosa l’indicazione da parte dei Consigli di classe e dei team dei docenti dei casi in cui si ritenga opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica e di eventuali misure compensative e dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva.
Naturalmente si confermano le procedure di certificazione già in essere per gli studenti con disabilità e con Disturbo Specifico di Apprendimento.I docenti sono chiamati a formalizzare i percorsi personalizzati attraverso delibere di Consigli di classe – team docenti, redigendo il Piano di Studi Personalizzato, firmato dal Dirigente Scolastico (o da docente specificamente delegato), dai docenti e dalla famiglia.

Chi firma il Piano di Studi Personalizzato?
Come sopra indicato il MIUR indica che il PDP debba essere a firma congiunta da parte della scuola (Dirigente Scolastico o docente delegato), docenti e famiglia.Riguardo al coinvolgimento delle famiglie è utile sottolineare, in questa sede, che le stesse sono coinvolte nella firma sia per una piena consapevolezza della personalizzazione del percorso scolastico dei propri figli, sia per una condivisione di strumenti e modalità da utilizzare a scuola per il successo formativo. Non giova agli studenti un’eccessiva interferenza nei contenuti del PDP da parte delle famiglie, né l’esclusione delle stesse dalla conoscenza del piano: come di consueto la linea di demarcazione fra scuola e famiglia è frutto di un equilibrio dettato dal rispetto dalle reciproche competenze nell’ottica della valorizzazione dei ruoli di
ciascuno.

Modelli di piani di studio personalizzati
Il MIUR si impegna a rendere fruibili in rete modelli di PDP, nel solco di quanto numerose Direzioni Generali ed ambiti territoriali hanno già fatto nel corso di questi anni a seguito di quanto previsto dalla Legge 170/2010.In frequenti occasioni di incontro con i docenti emerge, infatti, fortemente l’esigenza di avere modulistica e di poter trovare documentazioni strutturate di PDP elaborati da altri colleghi, fermo restando il diritto alla riservatezza, per poter ottimizzare le esperienze e le “storie” degli alunni e le professionalità dei docenti, consolidate nel tempo.

3. Alunni con DSA e disturbi evolutivi specifici
La C.M. ribadisce con grande chiarezza che, in caso di mancanza di certificazioni cliniche/diagnosi, le delibere di cui sopra debbono essere opportunamente motivate e verbalizzate, al fine di evitare il contenzioso.Evidenzia, inoltre, che per ciò che riguarda gli alunni con Disturbo Specifico di Apprendimento, nelle more del rilascio della certificazione da parte di strutture sanitarie pubbliche o
accreditate, è possibile adottare le misure compensative e dispensative previste dalla Legge 170/2010 e dalle Linee Guida (D.M. 5669/2011), proprio al fine di evitare processi di scolarizzazioni ancor più complessi ed aggravati dal rilascio di diagnosi tardivamente pervenute in sede scolastica.

4. Alunni con svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale
La C.M. sottolinea come l’individuazione a cura dei docenti di BES afferenti l’area dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale non debba essere fatta con avventatezza e facilità, bensì debba essere correlata ad elementi oggettivi (es. segnalazione dei servizi sociali) o da ben fondate considerazioni psicopedagogiche o didattiche, come sopra indicato da deliberare e formalizzare con verbalizzazione.Inoltre, in tali situazioni è bene considerare l’adozione di PDP e di percorsi personalizzati come soluzioni temporanee, da rivalutare, in esito all’adozione di strumenti volti a valutarne l’efficacia, l’eventuale variazione degli stessi o la possibilità di superarli.Il richiamo ministeriale si pone in linea con l’idea evolutiva dello sviluppo delle persone, in un’ottica di funzionamento e di progresso funzionale, già nota nell’area della disabilità e contenuta come principio chiave sin dalla Legge 104/92. In considerazione dell’età evolutiva degli alunni, l’adozione di strategie didattiche e di strumenti di dispensa o compensazione deve sempre essere connotata, qualsiasi sia la gravità delle situazioni affrontate, da un pensiero dinamico e progettuale volto alla prognosi e non staticamente incentrato sulla “diagnosi” o l’individuazione delle difficoltà.Ancora la C.M. risponde con chiarezza ai quesiti immediatamente posti dalle scuole non appena emanata la Direttiva, ossia che la dispensa dalle prove scritte di lingua straniera è applicabile esclusivamente in presenza di un disturbo clinicamente diagnosticato, in riferimento alle Linee Guida per il DSA. Il MIUR si riserva di fornire indicazioni aggiuntive ed integrative, relativamente allo svolgimento degli esami di Stato o per le rilevazioni annuali degli apprendimenti.

Una precisazione per le lingue straniere per gli alunni con DSA
La C.M. sottintende, senza neanche considerarlo come opzione possibile, l’impossibilità di esonerare gli alunni con svantaggio dalla lingua straniera, condizione che si pone, anche nell’area del DSA, come residuale e vincolata, in tale situazione, all’esistenza di specifiche condizioni di richiesta (ambito sanitario, ambito famigliare e ambito scolastico) ed in eventuale comorbilità con altre situazioni cliniche. Giova citare testualmente che l’esonero per gli studenti con DSA dalla lingua straniera, indicato all’art. 6, comma 6 delle Linee guida per gli studenti con DSA, è previsto solo in casi di particolari gravità del disturbo di apprendimento, anche in
comorbilità con altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato diagnostico. In detto caso si sviluppa un piano didattico differenziato che, in sede di esame, comporta la valutazione da parte del consiglio di classe con l’attribuzione di voti e di un credito scolastico relativi unicamente allo svolgimento di tale piano. In sede di esame possono sostenere prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo al rilascio dell’attestazione di cui all’art. 13 del D.P.R. n.323/1998, ossia senza il conseguimento del Diploma.

5. Azioni a livello di singola istituzione scolastica e azioni a livello territoriale
Azioni delle scuole autonome – Piano per l’Inclusività

Ciascuna scuola autonoma è chiamata ad ampliare il già previsto1 gruppo di lavoro handicap d’istituto (GLHI), dedicato alle azioni per l’inclusione degli alunni disabili, alle tematiche dei BES, integrandone opportunamente la composizione del gruppo e rinominandolo GLI (Gruppo per l’inclusione). La C.M. suggerisce in dettaglio le modalità di funzionamento dei GLI, auspicandone ritrovo a cadenza mensile, nonché fornendo indicazioni per lo svolgimento in orario o fuori orario di servizio dei docenti.Sono elencati e proposti alcuni compiti da attribuire ai GLI fra cui spiccano la necessità quantitativa di rilevare i BES a livello di scuola e qualitativa di raccogliere e documentare le buone pratiche di inclusione, di confrontarsi sui casi che possono confluire in un “Piano Annuale per l’Inclusività” da redigere a chiusura dell’anno scolastico (giugno).Se le scuole interpreteranno in termini amministrativo-burocratici la sollecitazione ministeriale di formalizzare quanto viene svolto nella quotidianità per l’inclusione, si rischia di perdere un’occasione per riordinare il “tanto” che ogni giorno viene svolto a scuola e per rilanciare il tema dei descrittori qualitativi per l’inclusione.

Al Piano Annuale per l’inclusività, da inviare alle Direzioni Regionali ed ai Gruppi di Lavoro interistituzionali provinciali e regionali (GLIP – ex Legge 104/92 – e GLIR –2) viene altresì assegnato un valore fattivo per l’individuazione dei fabbisogni in termini di risorse di organico, poiché le stesse sono attribuite globalmente alle singole scuole. Il Dirigente Scolastico sulla base delle effettive assegnazioni di organico ripartisce definitivamente le risorse, in termini “funzionali”.

A tutt’oggi le scuole autonome in sede di richieste di organico di diritto e di fatto sono da anni chiamate ad accompagnare i dati quantitativi – richiesti con differenti modalità da regione a regione- con argomentazioni di carattere qualitativo, tramite relazioni descrittive/illustrative che ora saranno comprese ed ampliate all’interno del Piano Annuale per l’Inclusività.

Azioni delle scuole autonome – Piano dell’Offerta Formativa
La C.M. ricorda che nel Piano dell’Offerta Formativa di ciascuna scuola devono trovare esplicitazione l’impegno concreto verso l’inclusione, per l’utilizzo “funzionale” delle risorse di personale assegnate e per il rispetto dei piani educativi concordati.Si noti che già da oltre un decennio la maggior parte delle scuole ha ben delineato all’interno del POF la propria carta d’intenti sul tema dell’integrazione, ma il MIUR puntualizza che non è sufficiente una dichiarazione generica, ma occorre sviluppare le modalità con le quali si concretizza l’inclusione nelle scuole.Questa sollecitazione potrebbe essere raccolta non positivamente dalle istituzioni scolastiche, che si muovono già in un’ottica di piena integrazione scolastica degli alunni disabili. La novità, però, è il richiamo all’inclusione complessiva di tutti gli alunni con BES, attraverso una maggiore descrittività delle azioni da porre in essere e, non ultimo, il richiamo che l’amministrazione fa a TUTTE le scuole dell’Italia, numerose e diverse nei comportamenti.

Le azioni a livello territoriale
La C.M. richiama, in linea con la Direttiva sui BES, il ruolo fondamentale dei Centri Territoriali di Supporto e sottolinea la necessità, per una piena inclusione, di attivare reti fra scuole e fra scuole e servizi, avvalendosi di strumenti formali (accordi, intese, protocolli…), volti ad integrare i “servizi”.

Innovativo risulta il paragrafo relativo ai CTI (Centri Territoriali per l’inclusione) che debbono assorbire le varie configurazioni presenti a livello di singole realtà territoriali (CDH, Centri risorse, etc..). La prefigurazione della nascita dei CTI viene collegata a quanto previsto dal D.L. n. 5/2012 all’articolo 50 in tema di “organico funzionale” delle istituzioni scolastiche (comma b), reti per la gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie (comma c), organico di rete per i bisogni educativi speciali, la dispersione, il contrasto all’insuccesso formativo, il bullismo (comma d), da assegnarsi con carattere triennale per i commi b) e d).Si precisano poi le caratteristiche generali dei docenti che operano nei CTS o nei CTI, con particolare riferimento a comprovate esperienze e specializzazioni (ad es. master, incarichi all’interno del progetto Nuove Tecnologie e Disabilità) e si indica sin da subito la possibilità di
segnalarsi presso gli Uffici Scolastici Regionali per candidarsi presentarsi come possibile sede di CTI.

Questo richiamo immediato e diretto rivolte alle scuole per l’opportunità di gestire un CTI è sicuramente da calibrare con le opportune indicazioni operative che ciascuna Direzione Generale fornirà al fine di evitare disillusioni e dispendio di energie.

6. Il grado di inclusività della scuola
Volutamente, nell’illustrare i temi chiave della C.M. 8/2013, si è mantenuto in chiusura il tema della “misura” del grado di inclusività della scuola, poiché l’Italia più che mai necessita di dati quali/quantitativi atti a verificare l’effettiva ricaduta dell’inclusione per i soggetti direttamente interessati e per la comunità circostante, al fine di poter effettivamente sostenere, anche in sede di dibattito europeo, la positività della scelta italiana di inclusione totale, non così diffusa né presente negli altri paesi comunitari ed extra-comunitari. Nei primi anni 2000 l’attenzione ed il dibattito sul tema era particolarmente vivace, poi, altre sono diventate le priorità del momento.Il MIUR, segnatamente, evidenzia la necessità di procedere a rilevare, monitorare e valutare il grado di inclusività delle scuole in relazione alla “qualità” dei risultati educativi di tutti gli studenti. Suggerisce al riguardo di attingere, fra l’altro, all’Index per l’inclusione, di matrice anglosassone, ora tradotto in Italia, che consente sia comparazioni con la Gran Bretagna sia di raccogliere ed adattare indicatori e strumenti per misurare il grado di inclusione; al progetto Quadis sviluppato dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, che si propone come strumento di autoanalisi/autovalutazione rivolto alla singola istituzione scolastica ed ha come
oggetto la qualità dell’integrazione delle alunne e degli alunni con disabilità (http://www.quadis.it/jm/index.php).Ciascuna scuola, poi, all’interno dei tanti progetti di certificazione di qualità, che sono in essere in Italia, potrà declinare ed enucleare specifici descrittori ed indicatori per la qualità dell’inclusione. Inoltre, in rete, sono reperibili e disponibili numerose sperimentazioni di scuole
ed enti dedicate al tema del miglioramento della qualità dell’integrazione e dell’inclusione, da cui è possibile prendere spunto per formulare un proprio modello. Correttamente il MIUR declina con particolare cura questo tema all’interno dei compiti prioritari per le scuole, in modo da non “calare dall’alto” un modello di valutazione del grado di inclusività delle istituzioni scolastiche. È auspicabile, però, che nel tempo le sperimentazioni delle scuole sul tema confluiscano in punti chiave sul tema dell’inclusione condivisi in tutto il territorio nazionale.

7. Alcune sottolineature sui prossimi passi
La Direttiva del 27.12.2012 e la C.M. 8 marzo 2013 hanno sicuramente riacceso l’attenzione sul tema dell’inclusione e dei Bisogni Educativi Speciali, forse un po’ affievolita dai tanti affanni della scuola e, talora, diventata routinaria consuetudine didattica.
Sono sicuramente da evidenziare:il passaggio dal concetto di integrazione a quello di inclusione, cui tanta letteratura ci riporta;
l’idea di eterogeneità come chiave interpretativa degli studenti di oggi;
un forte richiamo alla comunità europea, in termini, ma non solo, di comparabilità di sistemi, di leggibilità dei diversi itinerari e di rilevazione del grado e della qualità dei percorsi di inclusione;
l’invito alle scuole di formalizzare quanto ogni giorno, con fatica, mettono a punto per i propri studenti con BES, sia in termini di azioni didattiche, sia in termini di percorsi innovativi e sperimentali, sia per evitare, come chiaramente esplicitato in taluni punti, il contenzioso, ma anche per creare documentazione, memoria di quanto è stato svolto, di come sono stati realizzati i percorsi e di quali strategie e modalità si sono adottate, in chiave di trasparenza di sistema e di accountability del proprio operato.

Le scuole chiedono, a questo punto dell’anno, come comportarsi ed in questo senso i Dirigenti Scolastici sono sollecitati a mettere in atto le azioni di informazione dei Collegi dei Docenti in merito alla Direttiva ed alla Circolare Ministeriale ed ad avviare le azioni strategiche per l’inclusione sopra richiamate, ad esempio ridefinendo la composizione dei Gruppi di Istituto, sin dall’anno scolastico corrente, laddove possibile, certamente dall’anno scolastico 2013/2014, sia avviando la costruzione dei Piani per l’Inclusione.Non mancano le complessità e le tante sfaccettature che l’interpretazione sia della Direttiva sia della Circolare in taluni aspetti accompagneranno le scuole nella pratica concretizzazione di quanto viene indicato. La scuola sottolinea le proprie esigenze prioritarie: le risorse di organico, una cultura diffusa dell’inclusione (che superi l’idea della specializzazione settoriale del sostegno), l’individuazione dei BES, il rapporto delicato con le famiglie. Il MIUR ha rilanciato con energia il valore aggiunto dell’inlusione, facendo qualche cauta apertura in termini di utilizzo funzionale e strategico delle risorse di organico. Saranno necessarie
precisazioni e chiarimenti, ma una nuova sfida per l’inclusione si è aperta, sulla scia delle migliori tradizioni italiane.

1 Ai sensi dell’art. 15 Legge 104/1992
2 In riferimento alle Linee Guida ministeriali del 4-8-2009 sull’integrazione scolastica.

Fonte – http://www.gildanapoli.it/gildanews/2013/06_04/bes.pdf